Non è mai facile scegliere i dieci migliori film di un anno di cinema, specialmente quando, come nel 2019, pochi titoli si sono distinti in maniera inequivocabile dal resto. Ma, come ogni anno, la redazione di Film.it ci ha provato. Ecco dunque dieci film che, secondo noi, meritano, per un motivo o per l'altro, di rappresentare l'anno appena trascorso. Si tratta di opere a volte molto diverse tra loro, ma tutti pezzi di un puzzle che descrive un'industria cinematografica internazionale in cui l'emozione, ormai, può trovarsi sia nei titoli “d'autore” che nei grandi blockbuster.


L'Infinity Saga Marvel, iniziata ormai undici anni fa con Iron Man, arriva a compimento in questo ambizioso film di tre ore, stracolmo di eventi ma anche di grande cuore. I fratelli Russo hanno confezionato uno heist movie condito di viaggi nel tempo, che tira le fila di un discorso lunghissimo e complesso. Ma, laddove ci saremmo accontentati di usare aggettivi come “egregio”, “onesto” o “accettabile”, ecco che invece la Marvel tira fuori un esercito di conigli dal cilindro e ci regala un finale esaltante, emozionante, persino commovente. Tutto ciò che Star Wars: L'ascesa di Skywalker non è riuscito a essere. Leggi la recensione del film.


Tre ore di attori bravissimi che parlano. Una giornata trascorsa nella Hollywood del 1969. Un film in cui, come sempre, Tarantino schiva tutte le nostre aspettative. No, non è la storia dei delitti di Charles Manson. No, non è il riscatto di un attore caduto in disgrazia. È invece la storia di un'amicizia, di come cinema di serie A e serie B non siano in fondo così distanti (sono letteralmente vicini di casa), e possano aiutarsi a vicenda. Ed è, soprattutto, una gigantesca lettera d'amore a un'epoca che Tarantino idealizza e tiene stretta al cuore. È Tarantino che fa Linklater: racconta tutto quanto raccontando il nulla. Leggi la nostra recensione.


Sulla carta, la calata di braghe definitiva. Dopo il buon successo di Creed, pareva che, nell'incertezza generale su che strada intraprendere, Sylvester Stallone avesse preso il controllo della saga spin-off di Rocky per condurla sui sicuri ma deludenti binari della nostalgia. E invece Dolph Lundgren ha colto l'occasione della vita, trasformando il suo Ivan Drago in un personaggio a tutto tondo. E caricandosi sulle spalle un film che avrebbe potuto essere solo una strizzata d'occhio ai fan di Rocky IV, e invece, anche grazie all'accorta scrittura di Stallone, ha superato persino il primo Creed per come è riuscito a inquadrare perfettamente la voglia di riscatto al centro della saga. Nonché il tema che distingue Adonis Creed da Rocky Balboa: la necessità di uscire dall'ombra paterna per forgiare la propria strada. Qui la recensione.


Finalmente Pedro Almodóvar abbandona gli esperimenti con i generi (visti ne Gli abbracci spezzati, La pelle che abito e Julieta) e torna con qualcosa di personale da raccontare. Condivide gran parte dei suoi ricordi di infanzia ma anche le storie dietro le sue crisi di mezza età. E grazie al suo alter ego Antonio Banderas (nel ruolo migliore della sua carriera) ci ricorda come il cinema sia in grado di salvare vite. Uno dei film più belli nel carriera del regista spagnolo. L'augurio è che l'Academy si ricordi di questo lavoro. Quantomeno per l'Oscar come migliore attore protagonista. Leggi la recensione.


Un miracolo visivo ottenuto senza alcun uso di effetti speciali digitali. Lo scalatore Alex Honnold, una specie di Mr. Spock che si arrampica sulle montagne a rischio della vita, è al centro dell'inquadratura. E improvvisamente lo ritroviamo ad ogni angolo di essa. Ovunque. Sotto di lui c'è solo la morte. Psicopatico o essere umano perfetto? Forse entrambe le cose. E stupisce il modo in cui prima di fare la sua scalata Honnold conosca ogni curva, ogni minuscola insenatura del temibile El Capitan, monte situato nello Yosemite National Park. Sappiamo che alla fine ce la farà, ma questa informazione non ci impedisce di chiudere gli occhi per la paura in più di un'occasione. Grande cinema.


Il nuovo film di James Mangold è tutto ciò che ci si può augurare dal cinema di Hollywood. Una storia vera raccontata con epica, come se fosse un western su quattro ruote. Dei grandissimi protagonisti (Matt Damon e Christian Bale), carattersti in stato di grazia (Tracy Letts nei panni di Henry Ford II) e un tono che oscilla costantemente (e magistralmente) tra commedia e dramma. Le Mans '66 è un grande film per amanti dello sport. Ma soprattutto per chi non ama le corse. E non mancano le scene indimenticabili: come quella in cui Ford, terrorizzato all'interno di una macchina super veloce, finisce per piangere. E non solo per paura. Grandi emozioni perfettamente comunicate dallo schermo alla platea. Leggi la nostra recensione.


Un misto di tragedia, commedia, satira, thriller, sempre imprevedibile, sempre perfetto. Bong Joon-ho ci ha abituato da tempo al suo cinema che mescola i generi per scavare a fondo nelle nostre paure e preoccupazioni. O meglio, la riformuliamo: è impossibile abituarsi al cinema di Bong Joon-ho, per come mescola i generi e scava a fondo nelle nostre paure e preoccupazioni. Nel raccontare una famiglia disposta a mentire e manipolare pur di ottenere un lavoro sicuro, Bong non descrive solo la società della Corea del Sud, ma tutta l'umanità e i tempi difficili che stiamo vivendo. E, a un certo punto, quando parte Gianni Morandi in colonna sonora, capiamo che il tappeto delle nostre certezze ci è stato allegramente strappato da sotto i piedi. La recensione.


A chiunque dica che Netflix non produce cinema, possiamo rispondere con ben tre titoli in questa lista. Tra questi c'è anche l'intimo, toccante e persino divertente dramma famigliare di Noah Baumbach, una specie di Kramer contro Kramer dei giorni nostri, ma meno deprimente. E con due protagonisti straordinari, Scarlett Johansson e sopratutto un Adam Driver che non vincerà, forse, l'Oscar, perché probabilmente andrà a Joaquin Phoenix per Joker. Ma che lo meriterebbe davvero. La nostra recensione.


Un kolossal crepuscolare. Questo è The Irishman, l'ultimo capolavoro di Martin Scorsese che chiude idealmente la trilogia del regista dedicata ai potenti gangster dopo Quei bravi ragazzi e Casinò. Robert De Niro, protagonista del film, torna a essere un gigante del cinema. Era dal 1995 che non lo si vedeva giganteggiare così. In tutti i suoi silenzi. Che felicità ritrovarlo di nuovo in stato di grazia. Al suo fianco c'è un cast leggendario composto da Al Pacino (al suo ingresso sui set di Scorsese), Joe Pesci (immenso nel ruolo del Boss) e Harvey Keitel (in un piccolo, ma memorabile cameo). Si tratta di un "mafia movie" dolorosissimo: una storia che racconta l'ultimo atto di questi criminali. Un qualcosa che i precedenti film di Scorsese non avevano mai mostrato. Leggi la recensione del film.


Triple Frontier è un intenso viaggio all'inferno in due atti. Nella prima parte i protagonisti viaggiano verso l'inferno dei narcotrafficanti. Nella seconda, invece, devono uscire dal loro inferno personale. "Ci mette meno di un minuto il film a catturare l'attenzione di chi guarda - si legge nella recensione di Film.it - che siano i primi piani iniziali sul volto di Oscar Isaac o le impressionanti sequenze action realistiche che il regista J.C. Chandor ci presenta sin dall'apertura. La tensione passa immediatamente dallo schermo allo spettatore in una corsia emotiva a doppio senso che non smette di aumentare il suo carico per la durata di centoventicinque minuti".