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Franco Nero compie 75 anni: la carriera di un grande action man del cinema italiano

Dal western al poliziesco, da Django a 58 minuti per morire, la storia di una delle più grandi icone del nostro cinema popolare

Django Unchained - Franco Nero

23.11.2016 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Un pistolero cencioso, di spalle, trascina una bara attraverso una prateria fangosa. Basterebbe questa immagine per decretare l'importanza di Franco Nero nella storia del cinema italiano. Nato a Parma il 23 novembre 1941, Nero raggiunge la veneranda età di 75 anni in questi giorni. 54 di questi sono stati spesi al servizio del cinema, lungo una carriera che definire illustre sarebbe poco. Nero ha lasciato il segno principalmente nel cinema di genere italiano, un'arte che si è addormentata da troppo tempo portandosi via, almeno in parte, la sua carriera. Non che Nero non abbia più lavorato da allora, tutt'altro, eppure è innegabile che non gli siano più stati riservati ruoli iconici come negli anni '60 e '70, quando era all'apice del suo carisma.



Perché se c'è una cosa che colpisce del Franco Nero di quell'epoca (e che ancora oggi certamente non è sbiadita) sono i suoi occhi di ghiaccio, quello sguardo che attira su di sé come una calamita quello dello spettatore. Nel mezzo di una bella inquadratura panoramica, quei due occhi azzurri guidano la narrazione, si impongono, come dovrebbe fare qualunque vera star del cinema. I registi di allora prendono nota e non esitano a prenotarlo per la nascente stagione dello spaghetti western. Django (il cowboy cencioso di cui sopra) è il suo biglietto per la fama: un western di Sergio Corbucci che estremizza i concetti di Leone. Laddove c'era l'ambiente ostile del deserto, qui c'è fango a perdita d'occhio, il suo villaggio diventa un luogo fantastico in cui la violenza non si manifesta solamente nelle azioni degli uomini, ma persino nel paesaggio aspro e indomabile, che infonde al film un senso di agghiacciante disagio. In mezzo a tutto c'è lui, Franco Nero, l'arma segreta perfetta. Si divora tutto e si impone come un Clint Eastwood fatto in casa, più alla portata di tutti.

La sua fortuna prosegue con Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro, un atipico e sanguinario western diretto da Lucio Fulci (uno dei due western da lui diretti), Corbucci lo rivuole ne Il mercenario e Vamos a matar, companeros, in cui recita accanto a un'altra icona del genere come Tomas Milian. Eppure Nero è abbastanza in gamba da evitare il typecasting nel ruolo del pistolero ombroso: da subito si svincola dal western e appare nei fantascientifici I diafanoidi vengono da Marte e I criminali della galassia, entrambi diretti da Antonio Margheriti, oltre che in Camelot, produzione americana sul cui set incontra la futura moglie Vanessa Redgrave.



Ma è nel 1968 che Franco Nero incontra l'altro grande amore della sua carriera: con Il giorno della civetta, tratto da Sciascia e diretto da quel grandissimo artigiano che era Damiano Damiani, si apre per lui il capitolo del poliziesco di denuncia, che frequenterà assiduamente negli anni successivi, toccando tangenzialmente anche il fenomeno del “poliziottesco” vero e proprio, ovvero l'erede del western al botteghino popolare italiano. E qui ci sarebbe da aprire un lungo discorso su come Il giorno della civetta sia in realtà esso stesso un western, con l'uomo di legge proveniente da lontano che arriva a portare giustizia in una terra dominata da tiranni senza morale; ma sarebbe un discorso troppo lungo.

Basti dire che Nero si trova bene in questi panni, li calza a pennello sin dall'epoca del western e dunque si adatta benissimo all'evoluzione dell'action italiano. Parla chiaro Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica, titolo interminabile come nella tradizione del cinema d'inchiesta italiano, ma che in realtà travalica il genere e si trasforma in uno dei più fulgidi antesignani del poliziottesco. Damiani, ancora una volta, dirige Nero, che interpreta il procuratore del titolo. Un uomo integerrimo la cui visione del mondo è messa a dura prova dai metodi bruschi ma efficaci di un commissario (il grande Martin Balsam) nella lotta alla mafia.



In pochi anni arrivano le collaborazioni con Enzo G. Castellari: La polizia incrimina, la legge assolve è un titolo seminale nella nascita del poliziottesco; il suo commissario Belli è l'archetipo di tutti gli sbirri duri e disillusi che poi il suo imitatore Maurizio Merli avrebbe reso celebri. Il cittadino si ribella è l'archetipo di un altro filone all'italiana, quello dei vigilantes che tanto devono a Il giustiziere della notte. Keoma è un western crepuscolare che non sfigura davanti ai titoli migliori del filone. Nero ha anche l'onore e l'onere di chiudere formalmente la stagione del poliziottesco con Il giorno del cobra, sempre di Castellari, non altrettanto riuscito come Keoma ma comunque importante per come sposta l'azione in USA e tenta di virare sul noir classico. Un segno dei tempi: non si aveva più fiducia nelle storie italiane e in una formula ormai abusata.

La carriera di Nero sarebbe proseguita nei decenni successivi tra cinema di serie B e puntate nella serie A, con partecipazioni a produzioni sia nostrane che internazionali (memorabile il suo generale Ramon Esperanza in 58 minuti per morire, sequel di Die Hard), serie TV (Gli ultimi giorni di Pompei, I promessi sposi) e revival di vecchie glorie (Django 2 – Il grande ritorno, il western tardivo Jonathan degli orsi di Castellari). Oggi, per via della comparsata in Django Unchained di Tarantino, il suo nome ha ricominciato a circolare e, complice anche una spinta alla rinascita del cinema di genere italiano, Nero si appresta a interpretare nuovi sequel di Django e Keoma, Django Lives (produzione americana ambientata ai primi del '900 a Hollywood) e Keoma Rises, che dovrebbe riunirlo con Castellari. Comunque vada, è stato un successo.