
Protagonista il Josh Srebnick di Ben Stiller: un documentarista, puntiglioso al punto di non riuscire a portare a termine i propri progetti. Anche di vita. Per sua fortuna a fianco a se' ha una donna paziente e solidale, interpretata da una Naomi Watts che e' sempre un piacere vedere sullo schermo ma che con il suddetto costituisce una coppia non del tutto credibile. Non quanto, almeno, le due controparti giovani - vero motore dell'intreccio e contrappunto, non solo 'comico' - Adam Driver e Amanda Seyfried.
Nel primo, ovviamente, il nostro eroe si specchia, trovando una rassicurante realizzazione delle sue aspirazioni… Dinamico, impegnato, creativo, originale e apparentemente ammirato dal collega piu' esperto. O supposto tale. Ma tra sponeaneita' e spontaneismo la differenza non e' poca e da questo cortocircuito si scatena una serie di eventi, equivoci e rivelazioni che - anche accontentadosi di stereotipi piuttosto in voga Oltreoceano (e a New York, dove il film e' ambientato) - portano il malcapitato Stiller a fare i conti con la sua indefinizione e ansia giovanilistica.

Quella di crescita sembra essere una fase infinita (soprattutto al cinema, e nell'accoppiata Stiller-Baumbach, insieme gia' in Greenberg) e la fascinazione di poter sconfiggere il tempo che passa e' la piu' inebriante che ci sia. Ma anche la piu' ingannevole. Come ci viene dimostrato una volta di piu', anche se in maniera ironica, leggera e composta. Sopra e sotto la linea narrativa principale si dipanano e intrecciano inoltre una satira divertita della 'casta dei neogenitori' - benevolenti illuminati e ormai esseri superiori - e dell'ansia di paternita' e una sorta di digressione in piu' step sull'etica professionale ed esistenziale.
Un fondamentale scontro con il proprio vissuto, sogni e progetti compresi, che non puo' che risolversi nell'accettazione di quel che siamo. E che siamo diventati. Per fortuna, ridendone.