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Detroit, il pugno nello stomaco di Kathryn Bigelow colpisce Roma - La recensione

Il nuovo film della prima donna a vincere l'Oscar per la Regia torna a scavare nella storia statunitense, e fa giustizia.

30.10.2017 - Autore: Maattia Pasquini (Nexta)
Quello che tocca diventa oro, da sempre, e la mano di Kathryn Bigelow è evidente anche in questo suo ultimo Detroit, presentato alla Festa di Roma e che segue di un lustro il precedente Zero Dark Thirty. E come allora la ex signora Cameron volge lo sguardo su una storia dura, di quelle sulle quali il proprio Paese si divide, tra sciovinismo e imbarazzo: quella della cattura di Osama bin Laden nel 2012, quella degli scontri di Detroit del 1967 e dell'Algiers Motel incident oggi.



Una vicenda di cui si sente poco parlare, anche quando si ricercano le cause di tensioni che ancora oggi gli Stati Uniti non riesce, sa o vuole sanare, che continuano a causare morti e che portano nelle strade centinaia di migliaia di persone, come abbiamo visto solo negli ultimi anni. Delle tensioni che sembrano talmente radicate nel quotidiano del cittadino medio Oltreoceano da far apparire ormai scontata e naturale la divisione tra bianco e nero che la regista californiana coraggiosamente sceglie di non tacere al suo pubblico, anche e soprattutto di connazionali.

[Detroit è una zona di guerra nel primo trailer del nuovo film di Kathryn Bigelow]

E che mette in scena, in maniera anche smaccata, esplicita fino all'eccesso, come in altre occasioni. Con l'ampia descrizione delle radici storiche di esodi disperati, neri e bianchi, post bellici; con quella di una drammatica No Man's Land dove si può morire con estrema facilità a ogni età; con la simulazione dei due neri ("essere nero è come vivere con una pistola puntata in faccia") tenuti in ostaggio dai poliziotti razzisti capitanati dell'inquietante Will Poulter, con l'acquiescenza delle forze di Stato e della National Guard.



È una notte del giudizio cui sopravvivere come possibile, come quella fantasticata dal moderno Purge. Ma purtroppo vera, stavolta. Nella quale ci ritroviamo sballottati, spinti, senza equilibrio o libertà di scegliere dove guardare o mettere a fuoco tanto sono ristrette e frenetiche le riprese. Che - alternate a preziose immagini di repertorio e foto d'epoca - ci fanno vivere quelle stanze, quei corridoi, colmi di rabbia e paura, di sopraffazione, di vittime e carnefici: tasselli di una situazione difficile da inquadrare, letteralmente, e in costante movimento.

[Detroit: secondo trailer per il nuovo film di Kathryn Bigelow]

Ma più che nelle preghiere, estorte o sentite, e nel lungo pestaggio, per non parlare dell'agghiacciante "Death Game', il film colpisce di più quando costringe a riflettere su quello che era il normale quotidiano degli afro americani, più che nella descrizione o rappresentazione delle violenze e del vergognoso esempio di sospensione dei diritti civili che conosciamo bene anche noi dopo Genova. Ed è un bene, in questo senso, che l'attenzione sui personaggi principali - o almeno su alcuni di essi - si limiti a una finestra temporale precisa o non sia costante, a renderci più difficile l'immedesimazione e l'assolutizzazione di figure qualunque, esempi più che soggetti.



Qualcuno si è già lamentato di non aver potuto godere di una total action alla 13 Hours, trasposta nel comprensorio di Virginia Park, ma pazienza; spesso è oggettivamente difficile per noi - così lontani da quella realtà e da quella storia - capire il contesto e i condizionamenti cui intere generazioni sono state (e continuano a essere, in alcuni casi) sottoposte e per quanto il film cerchi di colmare questa lacuna, anche didatticamente, per qualcuno sembra essere difficile capire in assoluto.

Certo, non è facile esser certi del giudizio finale, anche quello personale, una volta che si riesca ad andare oltre l'emotività. Non è questo che cerca la Bigelow, d'altronde, né quello che fa o ci suggerisce. Tra le righe del racconto non a caso appaiono 'poliziotti buoni' e 'giusti', capaci di andare oltre la fase di rifiuto degli uni (di 'vedere') e degli altri (di 'sapere'); ma a conti fatti, se l'uomo bianco non è il nemico, di certo il sistema che gestisce non è equo. E il senso di impotenza, di colpa e di ingiustizia che rimane addosso è il modo migliore per farci sentire la profonda e radicata sensazione - terribile quanto sbagliata, e che le vittime di uno stupro conoscono fin troppo bene - di essere e aver mancato rispetto ai propri aguzzini, di non poter far altro che evitarli, sfuggirli, nascondersi, finendo per rinunciare a sé.


Detroit, in sala dal 23 novembre 2017, è distribuito da Eagle Pictures