Immaginate la scena, Christopher Nolan è sul set e ha appena spiegato alla sua troupe come girare una nuova sequenza del suo film e "far volare" la macchina da presa lungo gli immensi campi di mais del Canada. Tutti sono pronti, mancano solo gli attori principali. Qualcuno va a chiamare Matthew McConaughey. A quel punto, dall'interno di una roulotte piazzata nel bel mezzo del campo escono i suoi tre figli che accompagnano il padre davanti al ciak.
È andata più o meno così sul set di Interstellar: ce lo racconta lo stesso attore quando lo incontriamo a Roma. “Li ho portati con me a Calgary, dove abbiamo girato per un paio di mesi. È stata un'avventura familiare, perché abbiamo deciso di passare del tempo all'interno di questa roulotte in mezzo ai campi. Mia moglie ed io cerchiamo sempre di coinvolgerli nei nostri viaggi. Sono fiero di dire che i loro passaporti sono già pieni di timbri!”.
È andata più o meno così sul set di Interstellar: ce lo racconta lo stesso attore quando lo incontriamo a Roma. “Li ho portati con me a Calgary, dove abbiamo girato per un paio di mesi. È stata un'avventura familiare, perché abbiamo deciso di passare del tempo all'interno di questa roulotte in mezzo ai campi. Mia moglie ed io cerchiamo sempre di coinvolgerli nei nostri viaggi. Sono fiero di dire che i loro passaporti sono già pieni di timbri!”.
Come lo stesso McConaughey ammette, il ruolo di padre nella vita lo ha aiutato certamente a entrare nel ruolo di padre sul set di Interstellar. È in quel momento che Film.it gli chiede:
Nel film ti vediamo piangere in un paio di sequenze. Quante lacrime hai versato? È stato massacrante farlo in diverse occasioni per diverse ore di lavoro?
Sì, in questo film ci sono un po' di scene molto emozionanti. Anzi ce ne sono tante. Di solito sono ansioso quando so che devo piangere davanti alla macchina da presa, questa volta ho affrontato quelle scene avvertendo il regista: “Ti darò tutto al primo ciak, sarà la mia reazione più vera”. E allora Nolan ha preparato più macchine da presa in modo da catturare tutti gli angoli.
Alla fine è andata così? Avete preso quel primo ciak?
Sì. Vedi è buffo, ma in questo caso il lavoro di attore ti richiede proprio di essere totalmente rilassato e lasciarti andare. Lo ho imparato sulla mia pelle: quella prima volta, in quella determinata scena, ho pianto al primo ciak. Le volte successive ero già più rilassato: ci si sente più tranquilli dopo un bel pianto. Come se fossimo più puliti dentro.
Ok, allora proviamo ad esplorare altre sfide sul set di Nolan. Tutte quelle teorie che vengono enunciate sul viaggio nello spazio attraverso i buchi neri. Tutte quei dialoghi sulle complicate manovre da pilota e le coordinate di viaggio tra un pianeta e l'altro: è stato un problema capire quella roba da un punto di vista logico?
Ero convinto che dovevo capire tutto. È stata la prima cosa che ho fatto: ricordo che leggevo la sceneggiatura e non stavo capendo molto. A quel punto ho deciso di chiamare al telefono Kip Thorne, il fisico che ha ispirato l'intero progetto. Ho passato una giornata con lui: ha cercato di fornirmi le risposte più chiare alle mie domande. Dopodiché sul set era una lezione quotidiana con Chris Nolan che non ha mai smesso di spiegarmi tutto, giorno dopo giorno. Ecco, avevo imparato le regole del tempo, della gravità. Era vitale per me, dato che avrebbe condizionato perfino il modo di camminare del mio personaggio. Naturalmente, oggi ho dimenticato quasi tutto!
Quindi piangere ed enunciare complicate teorie hanno rappresentato problemi facilmente risolvibili. Per quanto riguarda invece fare acrobazie sul set con la tuta da astronauta: quelle sequenze hanno rappresentato una sfida?
Ecco, direi che la cosa più difficile è stata l'Islanda. Camminavamo su quei ghiacciai con indosso le pesanti tute, con scarponi e ramponi. Era scivoloso e infatti molti sono finiti a terra. C'era vento forte e avevamo quella sensazione che se fossimo scivolati giù in fondo, nessuno ci avrebbe salvato. Direi che è stato sfiancante anche a livello mentale, soprattutto perché dovevo stare attento a dove mettevo i piedi, dato che era tutto pericoloso. Quella è stata una sfida insieme alle scene in cui mi vedete in assenza di gravità. In quel caso penzolavo da un cavo di acciaio che mi teneva a oltre venti metri di altezza. Sapevamo che sarebbe stato difficile e per questo abbiamo provato quelle scene per tre settimane, prima di cominciare a girare. In questo modo avrei imparato a stare rilassato al momento del ciak. Ancora oggi penso a quando guardavo giù e non riuscivo a fermare il mio cuore che batteva all'impazzata.
Ormai la storia del tuo primo incontro con Christopher Nolan è praticamente “leggendaria”. Lui ti ha invitato a casa sua e per l'intera durata del meeting non ti ha mai parlato di Interstellar. Di cosa avete parlato dunque?
Abbiamo parlato dei nostri figli e dell'essere genitori. A un certo punto abbiamo perfino scherzato insieme. Sapevo che non mi aveva chiamato così a caso: il mio intuito mi diceva che lui voleva conoscermi. Credo volesse sapere se ero veramente l'uomo che si aspettava di incontrare. E naturalmente voleva capire se avrebbe potuto lavorare con me per i mesi di riprese e continuare l'avventura anche oltre, in occasione del tour promozionale del film.
A te invece, a parte lavorare con Nolan e la possibilità di interpretare un film così grande in prima linea, cosa ti attraeva della sceneggiatura di Interstellar?
È un film che mette alla prova l'intera umanità e allo stesso tempo si affida totalmente ad essa. Mi è piaciuto come alla radice della storia, Interstellar parli della totale capacità e affidabilità dell'umanità. Il messaggio che mi piace è che le aspettative dell'umanità devono essere più grandi di noi stessi: gli uomini che hanno fede lo definirebbero “credere in Dio”. Il punto è che più ci spingiamo avanti più ci è chiaro chi siamo. Ecco perché voglio che i miei figli lo vedano.
Interstellar, in uscita il 6 novembre, è distribuito dalla Warner Bros.
Per saperne di più
Guardate il trailer
Prime recensioni: "Un'epopea spaziale a misura d'uomo"
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