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Viva l'Italia: la grande bellezza che ha stregato gli Oscar

Il nostro Paese è tra le nazioni ad aver vinto più Statuette. Scopriamo perché...

La grande bellezza

24.02.2014 - Autore: Marco Triolo
Il 2 marzo prossimo Paolo Sorrentino siederà tra il pubblico della cerimonia di premiazione degli Oscar in rappresentanza dell'Italia, con le dita incrociate. Per la prima volta in sedici anni, un film italiano, La grande bellezza, è in concorso per la statuetta al Miglior film straniero e tutto il Paese starà a guardare. Il percorso di questi sedici anni è segnato da numerose delusioni: le più recenti sono quelle legate a Gomorra e Terraferma, due film ritenuti all'altezza di gareggiare a Los Angeles, ma nemmeno inclusi nella cinquina finale. Gomorra, lo ricordiamo, era piaciuto molto agli americani, e la sua esclusione dalle nomination era risultata così ancora più enigmatica e bruciante. La grande bellezza invece ce l'ha fatta. Che cosa ha portato a questo risultato? È sicuro che l'Academy lo abbia giudicato un film più degno di Gomorra? O c'è forse dell'altro sotto?



Un elemento che potremmo isolare e indicare provvisoriamente come la ragione dietro a questa scelta è la cosiddetta “italianità”. Chiariamo subito: non è che Gomorra sia meno italiano, anzi. Parla di questioni prettamente italiane, la malavita organizzata, il malcostume, la corruzione. Ma lo fa con uno stile freddo e spiazzante, per chi è cresciuto a pane e neorealismo. E indovinate un po' chi rientra in questa categoria? Buona parte dei membri dell'Academy, la cui età media si aggira intorno ai 62 anni. Gente che ha amato alla follia il cinema che producevamo un tempo, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Quel tipo di sguardo, sospeso tra il realismo di De Sica e le fluttuazioni oniriche di Fellini.

Con questo non intendiamo dire che La grande bellezza – un film che per altro ci è molto piaciuto – non meriti di essere in gara. Diciamo piuttosto che la sua italianità, il suo aderire a determinati canoni stilistici ed estetici – il fatto che sia ambientato a Roma, location esotica che ha una presa non indifferente sugli americani, non è da trascurare – ha dato quella spinta in più che al film serviva.



Abbiamo citato non a caso De Sica e Fellini. Nel nostro articolo sugli Oscar per il miglior film straniero vinti dal nostro Paese, abbiamo notato proprio come quei due autori abbiano costituito a lungo tempo un duopolio quasi inattaccabile. Questo perché si tratta forse dei due autori che incarnavano meglio le aspettative dei giurati americani, al di là dei loro ovvi e ammirevoli meriti artistici.

Anche al di fuori della categoria Film straniero, vigeva comunque un rispetto per la regola della “italianità”: gli Oscar per i migliori costumi ai felliniani La dolce vita e Otto e mezzo; Sophia Loren premiata come migliore attrice per La ciociara di De Sica; la statuetta ad Anna Magnani per La rosa tatuata; il premio alla sceneggiatura di Divorzio all'italiana di Pietro Germi (scritta con Ennio De Concini e Alfredo Giannetti). Quel fascino, quel look, quegli attori iconici (Mastroianni, Loren...), insomma quel sapore di Italia del boom economico, paese di fervente movimento culturale. L'Italia come paradiso di buon cibo, bel tempo, glamour. Un'immagine stampata nella retina dei membri dell'Academy sin da allora, tanto è vero che, dopo il tramonto dei Fellini, Germi e De Sica, a vincere troviamo opere come Nuovo cinema Paradiso (ode alla nostalgia da Amarcord felliniana), Il postino (o meglio le musiche di Luis Bacalov). E poi, naturalmente, il trionfo di Roberto Benigni e La vita è bella – con la strabordante personalità del regista e attore che esce dallo schermo e invade lo Shrine Auditorium, camminando sui sedili, ricevendo la statuetta dalle mani del'icona Loren. Se l'Academy avesse programmato tutto non avrebbe potuto ottenere un risultato più simile alle aspettative.



E ora è il turno di Sorrentino, il turno de La grande bellezza. Già il titolo richiama tutto un universo assopito, lo fa in maniera ironica e disincantata perché, poi, il film riflette sulla decadenza che si trascina sin da quei tempi d'oro. Ma questo all'Academy deve essere piaciuto un sacco. C'è lo stile beffardo, tra il lucido e il trasognato. C'è Roma, in tutto il suo squallido splendore. C'è un volto-icona come quello di Toni Servillo, uno dei pochi attori italiani ad essere riconoscibile all'estero per davvero. C'è tutto: ora manca solo quel po' di fortuna in più.