Festiva di Cannes 2014
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Sul ring con Tommy Lee Jones: “Spiegatemi voi esattamente cos'è il Western”

Film.it intervista il leggendario attore, regista e protagonista di The Homesman

Tommy Lee Jones

23.05.2014 - Autore: Pierpaolo Festa, da Cannes
Sessantasette anni e poca voglia di parlare. Ci troviamo in un corridoio nei meandri di uno degli hotel a cinque stelle della Croisette a chiacchierare con altri colleghi internazionali a proposito del personaggio che da lì a breve intervisteremo. “Buona fortuna” afferma il collega tedesco che lo ha appena intervistato: a guardarlo sembra sia stato messo KO in una manciata di minuti. “Lui non parla più di tanto, risponde a monosillabi e spesso il massimo che può offrirti a una domanda è un'altra domanda”. In quel momento l'entusiasmo dovuto all'incontro con uno dei più grandi attori statunitensi viene controbilanciato da una certa tensione di non riuscire a instaurare una conversazione con lui nei venti minuti che abbiamo a disposizione.

Due emozioni che danno vita a una sensazione bizzarra sigillata definitivamente nell'istante in cui Tommy Lee Jones ci accoglie dicendo: “Hey quella è la mia sedia. C'ero io seduto lì!”. Il tempo si ferma e Tommy Lee fa tutto da solo e senza mai distogliere lo sguardo né aggiungere altro sceglie l'altro lato del tavolo. È a quel punto che abbiamo la sensazione di sentire il gong della campana del primo round. A Cannes è venuto a presentare The Homesman (qui la recensione), film che ha diretto e interpretato nove anni dopo Le tre sepolture, la sua prima regia per il cinema che nel 2005 vinse un paio di premi importanti proprio a questo festival.

Ripensando un momento a tutti i Western più celebri degli ultimi anni si nota una strana coincidenza: sono tutti diretti da attori, persone come Clint Eastwood, Kevin Costner, Ed Harris e Robert Duvall. Come se lo spiega? C'è una ragione secondo lei o è solo un caso?
Stai cercando di dire che è un complotto? (Pausa di dieci secondi) Sì, proprio così! Siamo una fazione ribelle dello Screen Actors Guild. (Altra pausa più sguardo raggelante) Non saprei il perché, non posso spiegarlo. Però non credo di capire il termine “Western” con la stessa precisione che tu hai messo nella domanda. Non lo so.



Forse intendo storie ambientate nel diciannovesimo secolo, personaggi con cinturoni che vanno di solito a cavallo. Questa volta ci sono più donne sullo schermo all'interno di un film così: personaggi insoliti e punti di vista inediti...
Sì. Allora considerati i parametri che mi hai appena dato, per quel che mi ricordi le donne in quelle storie sono sempre state rappresentate come casalinghe sofferenti che si prendono cura del ranch, che cucinano, che danno da mangiare al cavallo e lo pettinano. Di solito donne con i capelli bellissimi, donne dal cuore d'oro.

Non è il caso di The Homesman, dove vediamo Hilary Swank nei panni di una donna forte che soffre di solitudine. Una protagonista che non si è mai sposata...
Mi hanno chiesto di leggere il libro di Glendon Swarthout, precisando che se mi fosse piaciuto avrei avuto poco tempo per assicurarmi i diritti e scriverne l'adattamento. Mi è piaciuto moltissimo e quindi ho dovuto lavorare in fretta perché lo avrei girato un anno dopo. Hilary era l'unica in grado di interpretare il ruolo: perché è perfetta. Sia a livello fisico che a livello emotivo. È una grande attrice cinematografica che lavora sodo: sa andare a cavallo, può prendere la pala e scavare, ha imparato a usare l'aratro e a guidare un calesse. Non solo ha fatto tutte queste cose, ma era felice di farle. Perché ha un ottimo senso del ritmo.

Lei è già regista, sceneggiatore e produttore del film: quanto è stato difficile aggiungere anche il ruolo di co-protagonista?
È il mio lavoro. Comunque è una scelta dovuta al poco tempo che avevamo a disposizione: non ho sprecato tempo nella ricerca di un protagonista in questo modo. E poi non la vedo così: i tre lavori che avevo già in questo film hanno reso il quarto lavoro, quello di attore, molto più semplice: prepari l'inquadratura, decidi dove mettere la macchina e come muoverla, provi con gli attori, fai un paio di correzioni e vai con il ciak. Lo stesso processo di sempre, più il grande aiuto del digitale che ti permette di vedere subito la qualità della performance.

Nel film la vediamo piangere e lamentarsi...
Quando? (Ci interrompe lui)

Nella sua seconda scena, quando vediamo il protagonista pendere da una corda mentre è in sella a un cavallo: Hilary Swank gli si avvicina e lui piange chiedendo di essere liberato. Ecco un Tommy Lee Jones insolito: dopo tutti gli anni di esperienza con il mestiere di attore le viene facile piangere oppure ha esitato un po' prima di girare?
Oh ti riferisci a quel bellissimo e patetico lamento del mio personaggio. Quella inquadratura la abbiamo aggiunta dopo esserci accorti al montaggio che mancava qualcosa in quella scena. Pensavo che avrei dovuto renderla più interessante e ho capito che non avevo altra scelta. È un pianto disgustoso e narcisista necessario per energizzare la scena. Vuoi sapere se era un pianto vero? Non lo era. Però era nelle corde del personaggio, anche lui avrebbe finto un pianto dato che almeno all'inizio non è un uomo onesto.



Come si sarebbe trovato Tommy Lee Jones a vivere da solo nel West? Sarebbe sopravvissuto?
Sì, di certo sì. Avrei dovuto ricalcolare le mie priorità in un'epoca senza comfort: niente aria condizionata, senza penicillina, senza frigoriferi. Oggi c'è uno 0.1% di mortalità infantile, all'epoca era 65%. Quindi questi sono i contro.

Quali sono i pro allora?
Che sono in grado di cavalcare, sparare, allevare gli animali e prendermi cura di un ranch.

A pochi minuti dall'inizio di questo suo secondo film lei smentisce subito uno dei detti del grande Hitchcock e cioè quello secondo il quale non si dovrebbe mostrare mai la morte di un bambino. È stato un rischio filmare la scena in cui una madre uccide il suo neonato?
Non per me. Non era un rischio, era parte della storia. Hitchcock aveva tante regole che oggi sono citate e che sono violate. Diceva anche: “Tratta gli attori come se fossero bestiame”. Oppure: “Assicurati alla fine della giornata di non uccidere nessuno sceneggiatore”.

Il suo film precedente, Le tre sepolture, riguarda la morte. The Homesman è più rivolto alla vita. In entrambi i lavori, però, il suo personaggio è ossessionato dal seppellire una persona cara. È una macabra coincidenza oppure le interessa molto questo tema?
Non c'è un perché. Piuttosto credo che entrambi i miei film siano caratterizzati dal fatto che si tratta di due viaggi verso destinazioni inattese. Le tre sepolture era un viaggio dal Texas al Messico, The Homesman invece procede da ovest a est: dal Nebraska all'Iowa. In entrambi i film c'è un “carico” speciale: nel primo il cadavere di un uomo, questa volta mi porto dietro tre donne malate di mente.

Tornando ai parametri del Western di cui parlavamo all'inizio: quanto The Homesman parla anche di imperialismo americano nei confronti sia degli indiani d'America sia del proprio popolo?
Speravo mi dicessi che riguarda i peccati che gli americani hanno commesso all'epoca! (Accenna un piccolo sorriso). Credo comunque che il film parli da sé. Se pensi anche che tratti dell'imperialismo americano nel lato occidentale del Mississippi mi sta benissimo. Quello che mi interessava era anche esplorare temi come dignità e amicizia all'epoca.



A quel punto sentiamo la campanella che sancisce la fine del round con Tommy Lee Jones. I suoi  publicist lo vengono a prendere e lo portano via. Non c'è tempo di chiedergli la domanda finale sul poster che aveva in camera da ragazzino, perché la prima sensazione è quella di sorpresa nel notare come alla fine di questo round siamo ancora in piedi davanti a una leggenda. Forse un uomo scontroso e di poche parole, ma uno che rimane comunque una leggenda.

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