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The Lazarus Effect: Olivia Wilde batte la morte

Evitabili leggerezze e rimandi inevitabili non tolgono appeal a un film dai molti limiti e le poche pretese

The Lazarus Effect - Olivia Wilde

02.03.2015 - Autore: Mattia Pasquini
Con un trailer e una locandina come quelle di The Lazarus Effect il concetto di spoiler diventa piuttosto labile, ma come spesso accade in fondo questo non e' un problema insormontabile per prodotti di questo genere. Piuttosto, rispetto a molti, invece di giocare con l'inevitabile citazionismo, sembra quasi incapace di integrarlo in maniera omogenea dopo averlo cercato programmaticamente.



Nell'avventura del team guidato dagli esperti Mark Duplass e Olivia Wilde, vera protagonista del film, nel bene e nel Male, e' evidente il 'Playing God' di base, una versione scientifica del Pet Sematary di Stephen King gia' passato al cinema in ben due film. Ma in fondo siamo solo alla premessa. Di un film che, per lo meno, non scopre mai completamente le sue carte, per quanto non troppo originali e prevedibili.

Piu' Hellraiser che Nightmare, ma decisamente meglio di Lucy, al quale per ovvi motivi (facilmente conoscibili) e' inevitabile avvicinarlo, questo film sfrutta al massimo il proprio potenziale, compatibilmente con l'effetto collage finale, ed ha un indubbio merito del quale gli saremo sempre grati: non aver virato sul tanto in uso 'found footage' nonostante uno dei cinque personaggi sempre in scena (tra i quali anche un convincente Evan Peters da American Horror Story) brandisca una macchina da presa per tutto il tempo.



E forse non tutti coglieranno la scelta non causale de La regina della Notte di Mozart a sottlineare alcuni momenti di suspance legati alla nostra Olivia Wilde o l'emblematico poster di Vertigo (La donna che visse due volte) di Hitchcock, ma gli indizi di una cura e una attenzione nella costruzione dello sviluppo ci sono, accompagnati da testi spesso credibili - compatibilmente con la necessaria sospensione dell'incredulita' - e con alcune 'perle' ("You've no idea of what you've done. But you will").

Purtroppo lo scotto dell'esordiente (per quanto abbia al suo attivo vari documentari e cortometraggi) David Gelb lo paga altrove, nella gestione dei tanti - forse troppi - elementi gettati nel calderone dagli sceneggiatori Luke Dawson (solo Shutter nel suo CV) e Jeremy Slater (alla prima esperienza anche lui e poco rassicurante presenza nello script del prossimo Fantastic 4 - I fantastici quattro).



Il dibattito su quali siano i limiti oltre i quali la scienza non debba andare si intreccia con gli ovvi contrasti (ma siamo al cerchiobottismo) su materia di fede e ragione e con il cliche' della cattiva impresa farmaceutica senza scrupoli. Mentre sullo schermo si discetta di Inferno e si passa dalla schizofrenia, alla lettura del pensiero, alla telecinesi a una serie di incubi che sembrano rispondere a una inutile ricerca di tensione attraverso espedienti mal gestiti e spesso dimenticati (vedi il capitolo 'Cane', o 'Cani') nell'attesa di raggiungere il cuore del dramma mostrato. Un film che asciugato di questi eccessi avrebbe fatto miglior figura, pur meno ritmato dell'orribile prova della Johansson di cui si diceva prima, anche per (o nonostante) uno sfruttamento piuttosto standard di dinamiche classiche ma spesso sicure.