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The Happy Prince, La recensione dell'esordio alla regia di Rupert Everett

Un uomo di grande sensibilità, un artista immortale la cui vita fu fin troppo ricca di dolori e delusioni, almeno da questo inedito e sentito trattamento.

12.04.2018 - Autore: Mattia Pasquini
Se il Wilde del 1997 diretto da Brian Gilbert, ci aveva consegnato un incredibile Stephen Fry e offerto un protagonista imperioso e superiore, è encomiabile l'operazione fatta da Ruper Everett nel suo The Happy Prince – L'ultimo ritratto di Oscar Wilde, di accompagnarci verso la fine della sua biografia scavando nella parte più segreta e dolorosa della vita del grande scrittore inglese. La scelta del racconto del 1888 come riferimento della vicenda mostrata è perfetta, in questo senso, proprio per la struggente conclusione di quello e di questo.



La solitudine del principe sulla colonna e il dolore che nasconde dietro il suo aspetto fiero sono le stesse dell'autore, che scopriamo da subito applaudito quanto minacciato, spesso dalle stesse persone. Un leitmotiv in una vita ricca di delusioni apparentemente orientata alla 'ricerca del tradimento' da parte del nostro "professional masochist". Un uomo innamorato della superficie, ma bisognoso di profondità, intrappolato in una contraddizione morale continua e braccato dai sensi di colpa.

Della sua 'immoralità' sappiamo fin troppo bene, ma alcune scelte di Everett all'esordio come regista si rivelano decisamente interessanti, anche se non sempre in grado di evitare una certa discontinuità. E magari compensare delle evitabili complicazioni cronologiche come un'insistita e forzosa ricerca di pathos ed empatia. Il pubblico sicuramente resterà colpito - non necessariamente conquistato - dalla tristezza infinita di questa sorta di Dorian Gray (e dalla brutalità del giovane Bosie, più avido e cattivo che mai).

[Da Salomé a Dorian Gray, Oscar Wilde al cinema]

La 'rivalutazione' del Robbie di Edwin Thomas (il meno noto in un cast che annovera il lungamente atteso Colin Firth, Emily Watson, Tom Wilkinson e Béatrice Dalle) - amico ed esecutore testamentario di Wilde, con il quale condivide la tomba di Père Lachaise dal 1950, e con lui simbolo delle migliaia di omosessuali riabilitati solo nel 2017 - è quel che rimane più impresso alla fine della visione. Che nella seconda parte acquista una certa coerenza, ma non fluidità, e che soprattutto nella parentesi napoletana - divisa tra lo stereotipo e la magia degli angoli più nascosti di Posillipo e il Rione Sanità - patisce uno dei principali down narrativi, con momenti ridondanti e innecessari, spesso mal inquadrati e fuori tono.



Come spesso accade, il nemico numero uno è il solito didascalismo, che pure contesto e soggetto sembrano prevedere naturalmente, insieme a una diffusa affettazione, comprensibilmente derivante da certi obblighi nella caratterizzazione di un personaggio così forte. Che con disincanto e cinismo riesce a regalare qualche sparuto sorriso, pur se ormai privato dei suoi "pensieri meravigliosi". Un Pinocchio che rinasce spegnendosi e che forse avrebbe apprezzato tanto pietismo, a differenza di molti che, pur apprezzando l'evoluzione della storia (e un paio di inattese soggettive), potrebbero ritrovarsi disarmati di fronte a una mimesi facciale che oscilla tra l'eccezionale e il posticcio e a svolte mai davvero sorprendenti.

The Happy Prince – L'ultimo ritratto di Oscar Wilde, in sala dal 12 aprile 2018, è distribuito da Vision Distribution.