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Lazzaro felice, la recensione del ritorno delle Rohrwacher al Festival di Cannes

Ipnotizza, confonde e conquista la parabola del 'buon selvaggio' interpretato dall'incredibile Adriano Tardiolo.

14.05.2018 - Autore: Mattia Pasquini, dal Festival di Cannes
Dalla Calabria all'Umbria, fino all'alto Lazio di Civita di Bagnoregio, il viaggio di Alice Rohrwacher continua. E continua a fare tappa al Festival di Cannes, dove nel 2014 aveva vinto il Grand Prix Speciale della Giuria per Le meraviglie. Stavolta, complici le previsioni dell'Hollywood Reporter e i complimenti del Delegato Generale Thierry Fremaux, c'è già chi parla di Palma d'Oro per Lazzaro felice, ma potrebbe essere difficile trascinare la giuria nel cuore del film, bissando il risultato e confermando quel successo.



Non che la minore delle due sorelle non sia tra i papabili, tutt'altro, ma la legittima scelta di ampliare l'orizzonte entro il quale far muovere i propri personaggi sembra non essere così facilmente traducibile in immagini, soprattutto per il registro scelto, tanto fiabesco e indipendente. Tale è infatti il mondo di questo Lazzaro (l'incredibile esordiente Adriano Tardiolo), "servo" della Marchesa Alfonsina De Luna (Nicoletta Braschi) e ai margini della stessa comunità di contadini, "mezzadri" di una sorta di The Village feudale fuori tempo massimo che riempie gli occhi e l'anima di un cinema che una volta in Italia si sapeva fare.

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Ma è solo una delle trovate su cui si basa la vicenda, spinta improvvisamente e con foga dalla rapida successione di due colpi di scena relativi al protagonista che proprio con la successione diacronica degli eventi giocano. È il momento migliore del film, che dopo averci introdotto alla strana amicizia di Lazzaro con l'annoiato e immaturo Tancredi - di poca costanza e più affettuoso di quanto sembri, che in fondo gli aveva donato la fantasia, il viaggio - ci strappa a quella terra di favole rurali, come i disperati compagni di avventura del nostro eroe.



Un uomo buono al limite della santità più che il 'Buon selvaggio' del mito, un povero pinocchio pronto a offrirsi ai primi gatto e la volpe che si presentino, un animale costretto a vagare da solo senza potersi ricongiungere a un branco che lo accetti, o capisca. Ma lo sradicamento è ovunque nel film, che pure con delle incoerenze e squilibri nel ritmo della narrazione - 'difetti' figli della libertà scelta dalla stessa regista nell'affrontare una materia tanto leggera e mobile - torna a raccontare i disperati con una empatia e una partecipazione che da tempo non vedevamo. E con uno sguardo composito e molteplice, che tematicamente unisce mistico, sociale e antropologico, e - come la storia - alterna l'alzo delle riprese abbassandosi a sporcarsi di una terra generosa e innalzandosi fino a livelli dai quali soli è possibile osservare certi miracoli.


Lazzaro felice, in sala dal 31 maggio 2018, è distribuito da 01 Distribution