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La prima notte del giudizio - La nostra recensione

La saga action-thriller cambia regista per raccontare le origini dello "sfogo", ma tocca il suo punto più basso

05.07.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Il cosiddetto “Sfogo” (dodici ore in cui tutto è concesso, anche l’omicidio) affonda le sue radici ben più lontano della saga creata da James DeMonaco. Le atmosfere notturne e molto underground riportano a I guerrieri della notte di Walter Hill, agli scontri tra bande in un disperato ritorno a casa. Era una rilettura dell’Anabasi di Senofonte, dove la violenza si trasformava in una norma di vita e il cinismo era l’unica legge riconosciuta, in una megalopoli criminale senza redenzione. La serie di DeMonaco, ormai giunta al quarto capitolo con il prequel La prima notte del giudizio, trasforma le strade (come nel classico di Hill) in un campo di battaglia, isola quartieri dal resto del mondo in nome di una brutalità giustificata dalle istituzioni, con rimandi al cinema di John Carpenter (1997: Fuga da New York, Distretto 13 – Le brigate della morte).


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L’idea è quella del tipico home invasion, della follia che suona al citofono per scatenare un massacro, con una forte connotazione politica. Sono i potenti a voler falcidiare la popolazione: la crisi economica ha messo in ginocchio le casse dello Stato, e l’unica possibilità sembra essere quella di eliminare i ceti più bassi. Il tutto è mascherato dall’interesse per la scienza, con la collaborazione dei telegiornali che parlano di un esperimento sociale (di cattivo gusto). L’obiettivo di chi sta al potere è portare alla luce l’oscurità che si annida in chi non ha più niente da perdere, esaltare l’anarchia per un giorno, e ottenere la quiete per il resto dell’anno. 
 
Fortunatamente si tratta di un film, ma nell’America di Trump assume una connotazione terribilmente reale. Non a caso la frase di lancio recita: Make The Purge Great Again, ricalcando il famoso slogan utilizzato dall’attuale inquilino della Casa Bianca durante la campagna elettorale. Il futuro che viene messo in scena è distopico, speriamo impossibile, ma si appoggia sulla rabbia che serpeggia tra le nazioni, sulle situazioni al limite che ogni giorno rischiano di esplodere come una bomba a orologeria. I richiami alla cronaca sono forti: orde di neonazisti che attaccano le chiese, il Ku Klux Klan che inneggia alla superiorità bianca come se fossimo a Charlottesville, teatro di una delle più grandi manifestazioni razziste degli ultimi anni. Ma La prima notte del giudizio cade nella sua stessa trappola, scoprendosi manicheo, politically correct fino all’eccesso, in una vicenda dove i cattivi hanno la pelle chiara e i buoni vengono dal ghetto. Nell’era del Black Lives Matter sembra una strizzata d’occhio al pubblico e niente di più. 

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Il carisma di Frank Grillo, protagonista di Anarchia – La notte del giudizio ed Election Year, non trova un degno sostituto, e il talento di Ethan Hawke, il “divo” dell’originale, è un ricordo lontano. Ma forse il vero colpo di grazia è il passaggio di regia da James DeMonaco, qui solo produttore e autore della sceneggiatura, a Gerald McMurray, che non riesce a riproporre lo spirito visionario del suo predecessore. La carnevalata è alle porte, il sangue è un fiume, e la serie tocca il suo punto più basso. 

La prima notte del giudizio è distribuito nei cinema da Universal Pictures.