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Troppa grazia, è scontro …almeno tra Alba Rohrwacher a la Madonna - La recensione

Nel film di Gianni Zanasi si mescolano tematiche importanti e originali trovate formali, ma niente miracoli.

18.05.2018 - Autore: Mattia Pasquini, dal Festival di Cannes
"Una risata vi seppellirà" si diceva una volta, ma è da una risata completamente diversa che nasce il Troppa grazia di Gianni Zanasi. Quella che gli ha ispirato l'immagine dell'incontro tra Lucia e la Madonna in un centro commerciale, e che ha cercato di sviluppare per ricreare lo stesso senso di straniamento e di surreale del quale vive l'intero film. Una 'chiamata' che non ha molto di celeste, se non il velo della giovane Hadas Yaron (Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla 69ª Mostra di Venezia per La sposa promessa), protagonista degli scontri con la geometra interpretata da Alba Rohrwacher.



Un personaggio terreno, in tutti i sensi, anche e soprattutto per il suo legame con il territorio, che cerca di salvaguardare e proteggere anche a costo di terra bruciata intorno. Una donna, "non una santa", a un passo dal cedere, per necessità, per amore della figlia, per paura… Come molti di noi. Ed è li' che interviene Zanasi, e il suo film, per riproporre con forza un messaggio ecologista ed etico insieme, di civiltà più che religioso, anche se la forma scelta per trasmetterlo è quella della 'Vergine' suddetta: forse immacolata, chissà, di certo molto moderna ed esasperata dal degrado generale al punto da superare l'ultimo confine e passare alle vie di fatto.

[TROPPA GRAZIA DI GIANNI TRIONFA ALLA QUINZAINE DES REALISATEURS]

Gli scontri fisici con questa insistente 'profuga' sono sicuramente i momenti migliori, più divertenti e capaci di restare nella memoria e dell'immaginazione degli spettatori, ché vedere la Madonna fare a botte o diventare violenta è qualcosa di decisamente inusuale. Che però potrebbe trascinare molti su un cammino sbagliato, facendo magari fraintendere sia l'apparizione sia il suo significato ultimo. Che lo stesso regista vorrebbe essere quello di una esortazione alla "lotta contro la perdita di qualcosa che non si deve perdere", contro "un presente oppressivo, che ci vuole offrire tutte le risposte e in cui è stato esiliato il concetto di mistero""…



Nessun miracolo, insomma, come urla Lucia, che sogna invece retrogusti fruttati e libri di buddismo sul comodino, quanto semmai una "ricchezza" che resta forse 'seppellita', come dicevamo, nelle dinamiche più superficiali messe in scena. Anche con ottimi momenti (inclusi un paio con Elio Germano, contrappunto maschile della nostra eroina) e grazie a una scrittura che per una buona metà del film sembra essere la principale freccia nell'arco di Zanasi. Almeno fino a quando l'attenzione non si sposta sul confronto tra le due figure femminili (tre, con la figlia di Lucia), facendo perdere equilibrio allo svolgimento e finendo per cercare una conclusione ambigua e confusa che rischia di spegnere la luce divina balenata inizialmente.


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