The Silent Man

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Il film racconta la storia di Gola profonda, pseudonimo del noto whitsleblower al centro dello scandalo Watergate. La vera identità dell'informatore è rimasta avvolta nel mistero, un segreto custodito per più di trent'anni. Nel 2005, però, l'agente speciale FBI Mark Felt ha rivelato di essere stato lui l'informatore che ha parlato con i giornalisti Woodward e Bernstein.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Mark Felt: The Man Who Brought Down the White House
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Bim
DURATA
103 min.
USCITA CINEMA
12/04/2018
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2017
di Gian Luca Pisacane

In questi ultimi tempi, il cinema si è di nuovo innamorato della Storia, e sembra suggerirci che, per comprenderla, bisogna guardarla da diverse angolazioni, senza pregiudizi. Mai fermarsi a un’unica fonte, a un solo punto di vista. È il caso di Dunkirk, l’Operazione Dynamo raccontata da Christopher Nolan, e L’ora più buia di Joe Wright. Da una parte i soldati, la spiaggia e un disperato tentativo di tornare a casa, dall’altra Winston Churchill (un irriconoscibile Gary Oldman) che cerca di far rimpatriare l’esercito inglese bloccato sulle coste francesi. Ma non è l’unico caso. Il bellissimo The Post di Steven Spielberg è una sorta di prequel dello scandalo Watergate, di Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula. 

The Silent Man cerca di avvicinarsi a questo classico, narrando la vicenda dell’ormai mitico “Gola profonda”, la fonte del Washington Post che avrebbe portato all’impeachment di Nixon. Nel film del 1976 andavano in scena l’accanita ricerca della verità e la paura di attaccare direttamente la Casa Bianca. La cronaca diventava spettacolo, con un ritmo incalzante e una coppia perfetta formata da Robert Redford e Dustin Hoffman, senza dimenticare le splendide vedute della biblioteca del Congresso. In The Silent Man cambia la prospettiva. La macchina da presa si sposta nei corridoi del potere, nella sede dell’FBI a Washington D.C. dove i politici tramano nell’ombra e cercano di nascondere gli intrighi sotto il tappeto. 
 
In partenza, l’operazione aveva tutte le carte in regola per essere un successo, ma la regia è fiacca, senz’anima e, a tratti, sembra piattamente televisiva. A dirigere c’è Peter Landesman, un ex giornalista investigativo dallo spirito militante (come i suoi personaggi), sempre in prima linea per affondare le mani nel fango e portare alla luce le macchinazioni dei piani alti. Ma girare un film non è come scrivere un articolo o un libro. E purtroppo neanche avere un grande attore come Liam Neeson nei panni del protagonista basta a salvare la nave che affonda. Questo è il terzo lungometraggio di Landesman, che non riesce a correggere gli errori già visti in Parkland (le drammatiche ore che seguirono l’omicidio Kennedy) e Zona d’ombra (la crociata del dottor Omalu, con il viso di Will Smith, contro il mondo del football americano). Buone intenzioni a cascata, retorica a piene mani, e un gonfio patriottismo che difficilmente si sposa con il grande schermo
 
Ottima l’interpretazione di Neeson, che per una volta smette di massacrare i nemici e minacciarli al ritmo di Io vi troverò, thriller muscolare che si è trasformato addirittura in una trilogia. Questa volta ha il rigore di Mark Felt, il secondo di Hoover, l’agente che ha guidato l’FBI per anni, lontano dai riflettori. L’attore di Schindler’s List brilla mentre si tormenta per la figlia scomparsa e per il suo Paese che sanguina. Allora l’America viveva uno dei suoi momenti peggiori e adesso, con Trump seduto nello Studio Ovale, non resta che tremare pensando al futuro.