Il diritto di contare

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L'incredibile storia mai raccontata di Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughn (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monae), tre brillanti donne afroamericane che – alla NASA – lavorarono ad una delle più grandi operazioni della storia: la spedizione in orbita dell'astronauta John Glenn, un obbiettivo importante che non solo riportò fiducia nella nazione, ma che ribaltò la Corsa allo Spazio, galvanizzando il mondo intero.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Hidden Figures
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
20th Century Fox
DURATA
127 min.
USCITA CINEMA
08/03/2017
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2017
di Mattia Pasquini


Tre nomination all'Oscar non sono poche, soprattutto nell'edizione che si segnala 'da record' per la comunità afro-americana con le candidature a sei attori e a tre film e documentari di argomenti a essa inerenti. Eppure, sarebbe una sorpresa se Il diritto di contare di Theodore Melfi (St. Vincent) riuscisse ad accaparrarsi il 'titolo' di Miglior Film o di Miglior Sceneggiatura Non Originale, come anche se Octavia Spencer finisse per risultare la Miglior Attrice Non Protagonista a scapito di Viola Davis, Naomie Harris, Nicole Kidman o Michelle Williams.

Probabilmente l'Ottima Annata, in questo senso, ha aiutato molto il film a emergere, e magari a guadagnare qualche punto in più presso critica e pubblico; ché la vicenda delle fondamentali 'Figure nascoste' (come da titolo originale, più emblematico dell'italiano, che sceglie di puntare sul velato doppio senso del verbo 'contare') della storia della NASA e dei viaggi spaziali statunitensi non ha in sé una qualità cinematografica che sovrasti la capacità di colpire della carica emotiva ed empatica delle figure al centro di un racconto esemplare.

Le "tre brillanti donne afroamericane" - Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughn (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monae) - ci ricordano di un passato di discriminazione e diseguaglianza e di una lezione che ancora oggi resta valida, ma è nella costruzione del contesto e nei personaggi di contorno (interpretati da Kevin Costner, Kirsten Dunst, Jim Parsons) che il film mostra le sue debolezze. Forse per non incrinare la valenza 'inspirational', infatti, più o meno tutti i soggetti Bianchi sono - a modo loro - illuminati. O meglio, in buona fede, convinti della propria liberalità, come molti di noi, incapaci di riconoscere il proprio razzismo, o pronti a riconoscere la qualità e la dignità altrui (soprattutto nel caso di 'altri' geniali).

Certo, il conflitto non doveva essere rabbioso e razziale, come in altri film tanto decantati, ma più sociale, subdolo, 'hidden' appunto. Una scelta che rende la visione più lieve e pedagogica, ma analogamente ammorbidisce i toni, sfumando quell'esperienza e riducendola al livello di una ricostruzione televisiva.