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La solitudine dei numeri primi - La recensione

Il best seller di Giordano secondo Saverio Costanzo delude e a tratti infastidisce trincerandosi nell'artificio.

La solitudine dei numeri primi - recensione

10.09.2010 - Autore: Ludovica Sanfelice, nostra inviata al Festival di Venezia
“La solitudine dei numeri primi” è arrivata in Laguna, preceduta dalle attese di chi aveva apprezzato il best seller del giovane Paolo Giordano e di chi riponeva speranze nel lavoro molto interessante di Saverio Costanzo. Le cose non sono però andate evidentemente per il verso giusto perché il film purtroppo ha deluso e a tratti addirittura infastidito. Al centro dell’intreccio drammatico, Alice e Mattia, le cui vite sono state brutalmente dirottate nell’infanzia. In modo complementare i due sono stati menomati, lei fisicamente, lui psicologicamente, ma nella loro solitudine si sono incontrati. La storia di per sé molto cupa, nel riadattamento stravolge l’ordine degli eventi procedendo avanti e indietro tra i diversi piani temporali e svelando i rispettivi drammi poco a poco. E fin qui tutto bene.

A non funzionare però sono i registri narrativi e l’indecisione da parte del regista di imboccare una via definita pur esponendosi pericolosamente. Se nei primi minuti il film sembra avviarsi con sicurezza negli spazi del thriller, improvvisamente sembra preferire l’horror, per poi ingranare la retromarcia verso il dramma borghese, senza disdegnare la fantascienza. L’uso di una colonna sonora eccessiva sfiora in certi momenti il crimine e respinge lo spettatore chiudendosi nell’anaffettività dei personaggi, nel loro disagio tradotto in maniera schematica in un linguaggio cinematografico che sceglie l’artificio per rappresentare il dolore, e nel tentativo di scartare il rischio drammone scivola nell’irrealtà quasi grottesca.

Il risultato è indigesto e il lavoro impressionante che gli attori Alba Rohrwacher e Luca Marinelli hanno fatto sui loro corpi svanisce nella sperimentazione presuntuosa o confusa (beneficio del dubbio) che punta all’autorialità sprecando materiale umano e narrativo. Ma perchè?