In questo contesto, Colin Farrell è un uomo costretto per legge a essere rinchiuso in un hotel, dove ha 45 giorni per trovare una compagna di vita, pena la trasformazione in un animale a propria scelta. Tuttavia, se il mondo invadente dell'hotel è a tratti orripilante in termini di controllo del singolo, il risvolto della medaglia è ugualmente catastrofico.

A questa gerarchia della comunanza, dalla quale il personaggio di Farrell sfugge, si alterna invece quella del diktat della solitudine, rappresentato dai personaggi che vivono nei boschi e rifiutano l'idea di accoppiamento ad ogni costo.
Anche qui però non c'è da stare allegri, e questa tribù, capitanata da una imperscrutabile Lea Seydoux, si rivela altrettanto crudele e invadente nei confronti dei suoi adepti. E questo solo per citare i temi fondamentali del film, ovvero il controllo esercitato dal potere, sia esso gerarchizzato oppure eversivo, sulla privacy del cittadino e sulla possibilità che lo schema del populismo, bianco, o nero, destra o sinistra, single o in coppia, cancelli qualunque scelta di tipo intermedio.
Lanthimos arriva a illustrarlo usando il suo registro unico, fatto di iperrealismo. In questo ricordando certa cinematografia nordica, come il bellissimo Un piccione seduto sul ramo riflette sulla propria esistenza, fatta di paradossi visivi e dialogici e di un tono essenziale che tocca i picchi sanguinolenti e surreali della commedia più nera.
Con questi elementi, The Lobster, parla della violenza di un sistema che vuole sapere e normare ogni aspetto della vita quotidiana delle persone. E la sua stretta - seppur didascalica e legata a movimenti circoscritti e a continue frenate che non abbracciano mai la riflessione più ampia, narrativamente parlando - arriva come un pugno fortissimo nello stomaco di chi guarda. Ma non preoccupatevi, c'è anche posto per l'amore, qui liberatorio e infinitamente sovversivo, in questo piccolo gioiello d'autore.