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Stranger Things 3 è ancora il miglior fast food di cultura pop dei nostri tempi (La recensione)

Torna la serie Netflix più amata, con una stagione ambientata in estate e incentrata sui mutamenti della pubertà

Stranger Things

04.07.2019 - Autore: Marco Triolo
Ogni nuova stagione di Stranger Things è un evento. Una delle poche serie Netflix che non sia a rischio cancellazione dopo la terza stagione (una mossa strategica tipica della piattaforma streaming, che ha delle logiche diverse da quelle delle reti televisive canoniche). L'unica che sia riuscita, finora, a coniugare nostalgia e appeal a un pubblico giovane con risultati tutto sommato convincenti. Un ibrido bizzarro, figlio dei nostri tempi, in cui l'aderenza ai canoni del cinema per ragazzi anni '80 si sposa a un gusto per il macabro più vicino al mondo dell'horror per adulti.
 
I fratelli Matt e Ross Duffer hanno trovato una formula perfetta, la gallina dalle uova d'oro. E, aiutati da un cast di notevoli rivelazioni (Millie Bobby Brown, Finn Wolfhard, Gaten Matarazzo, Joe Keery, David Harbour), l'hanno coltivata e raffinata sempre più, fino ad approdare a questa stagione che ritrova un po' dell'urgenza della prima, senza ovviamente replicarne l'ormai svanito effetto sorpresa.

 
 
Sia chiaro: Stranger Things 3 gioca sul sicuro. Non aspettatevi grandi variazioni rispetto alla formula. Una, la più evidente, è anche obbligatoria: tutti i protagonisti hanno ormai raggiunto la pubertà, hanno cambiato la voce e i connotati. Era impossibile mantenerli bambini. E dunque i Duffer hanno saggiamente scelto di ambientare la terza stagione in estate, tra primi amori, scoperta delle pulsioni sessuali e centimetri di pelle esposta al sole.
 
Per il resto, i Duffer mantengono invariati lo schema e gli schieramenti. Ci sono quattro gruppi di personaggi – i pre-adolescenti, il nuovo duo Dustin/Steve, la coppia Nancy/Jonathan e gli adulti Joyce e Hopper – che seguono le loro indagini personali finché questi fili non si incrociano, costringendoli a lavorare insieme. L'unica differenza, ma già un po' si era intuito nella stagione 2, è che qui c'è maretta tra gli amici storici. Dustin è tornato da un campo estivo per scoprire che Mike e Lucas sono più interessati alle ragazze che alle avventure. Will – che, poverino, stenta a essere un vero personaggio essendo nato come MacGuffin nella stagione 1 – ha lo stesso problema, ancora più accentuato perché è il più timido e infantile del gruppo (ma anche perché è ancora traumatizzato).

 
 
Niente di clamoroso, ovviamente. Sono tutte schermaglie dovute all'età, drammi che sembrano enormi da ragazzini, ma sui cui poi ridiamo da adulti. I Duffer lo sanno, e non hanno la minima intenzione di scavare troppo a fondo. Preferendo concentrarsi sul divertimento e un tono leggero che contrappongono ai segmenti più spaventosi e oscuri.
 
La stagione ci mette un po' a ingranare. Parte anche troppo in fretta, presentando la minaccia nei primi minuti del primo episodio. Forse sarebbe stato meglio tenerla segreta un po' di più, lasciare che si insinuasse nel tessuto di un'estate altrimenti normale. I Duffer, per la verità, non sanno nemmeno sfruttare troppo bene l'estate, non riescono a far respirare come si deve un'ambientazione che meriterebbe di essere esplorata più a fondo. Forse un paio di episodi in più avrebbero giovato, ma gli autori hanno scelto di tornare agli otto della prima stagione. E allora bisogna continuare a muoversi, senza mai guardarsi indietro.

 
 
Quando però le cose si mettono in moto, Stranger Things ritrova quell'alchimia perfetta che fa funzionare tutto a orologeria. La minaccia si avvicina, gli amici tornano a parlarsi, si confrontano e mettono in atto un piano. E ridiventa impossibile staccare.
 
Tra le cose migliori: la neonata squadra che ruota intorno a Dustin e Steve. L'alchimia tra Gaten Matarazzo e Joe Keery era già stata testata. Qui continua a dare soddisfazioni, ma i due non agiscono più da soli. A convincere meno è invece la deriva caricaturale di Jim Hopper, da duro tutto d'un pezzo a isterico insicuro, geloso, che si lascia andare all'istinto e alle maniere forti. C'è una scena, in particolare, che mette un po' a disagio per come presenta la brutalità della polizia sotto una luce positiva. Tutto questo in funzione dei duetti con Winona Ryder, che funzionano a un livello di superficie, ma a cui i Duffer arrivano modificando con nonchalance uno dei personaggi centrali.

 
 
Nessuna sorpresa, comunque. Sappiamo bene che Stranger Things è divertimento superficiale, costruito a tavolino per evocare un'epoca e un modo di fare cinema (non TV, questa non è televisione). Tutto è citazione prima, sostanza poi. E le cose che funzionano meglio, come il suddetto rapporto tra Dustin e Steve, sembrano nate più da fortunate coincidenze che da piani precisi. Ma se è l'approfondimento psicologico che cercate, andate a cercarlo altrove. Qui ci sono solo hamburger, gelati, caramelle e bicchieroni di Coca-Cola. E così deve essere.
 
Stranger Things 3 è ora disponibile su Netflix.