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Skyscraper, la recensione del nuovo film con The Rock

Dwayne Johnson sfida un gruppo di violenti criminali e si lancia senza paura in un grattacielo in fiamme. Hollywood colpisce ancora

Dwayne_Johnson

18.07.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Forse i divi che riescono a colmare il botteghino solo con il loro nome si contano sulle dita di una mano. Tom Cruise riempie le sale quando interpreta Ethan Hunt in Mission: Impossible, Jennifer Lawrence è un mito per le nuove generazioni sulla scia di Hunger Games… E poi forse c’è lui: Dwayne “The Rock” Johnson, l’ipertrofico samoano dal sorriso sgargiante.

È riuscito a trasformarsi in un fenomeno popolare, figlio di un’America che cerca sempre di aggrapparsi a nuovi eroi. Con i suoi muscoli da fumetto, The Rock è entrato nella famiglia degli Schwarzenegger, Stallone e Van Damme, padri fondatori di saghe spaccatutto di cui si è perso il conto. Forse la sua arma vincente è un’ombra d’ironia, ma soprattutto la capacità di incarnare gli ideali di una nutrita fetta di yankees. Alcuni lo indicano addirittura come il prossimo inquilino della Casa Bianca. Tutto è possibile.



In Skyscraper, The Rock è l’incarnazione gonfiata di una potenza che si sente padrona del mondo. Se c’è una crisi dall’altra parte dell’emisfero (in questo caso Hong Kong), sarà l’unico sulla piazza a risolverla. Anche ferito e senza una gamba ce la farà, simbolo di un Paese che, dopo tante “vittorie perdute”, ha sempre rialzato la testa.

The Rock è letale, determinato, pronto a scatenare l’incredibile. Salta da una gru a un grattacielo in fiamme, e sfida un plotone di criminali senza mai rovinarsi il trucco. Questa volta supera anche lo spirito sciocco di Jumanji – Benvenuti nella giungla e si spinge oltre ogni limite, facendo sembrare una passeggiata domenicale le corse forsennate di Fast And Furious.



Con Skyscraper, Hollywood torna a misurarsi con l’immagine dei grattacieli in fiamme, dei mostri di cemento feriti a morte. Ma lo spettro dell’11 settembre è sempre in agguato. E allora nell’entertainment nessuno può permettersi di far crollare un edificio, lo può solo martoriare, renderlo una prigione rovente e ultratecnologica, come nell’Inferno di cristallo di antica memoria. Nel film del 1974 il vero conflitto era tra il fascino di Paul Newman e quello di Steve McQueen: il progettista e il pompiere, l’angelo inquieto e il “bad boy, con il lieto fine assicurato.

Anche col supporto delle risorse più aggiornate, il film non riesce a ricreare l’atmosfera di quel lontano “catastrofico”. E nemmeno ad accostarsi a Bruce Willis, che in Die Hard – Trappola di cristallo, a piedi nudi e in canottiera, dava vita a una sorta di nuovo cinema post-moderno, capace di mescolare i generi, di misurarsi anche con il thriller e il melodramma. Qui a volare alta è solo l’aquila dell’esagerazione, che le spara grosse e sfida solo il ridicolo.