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Recensione: Un piccione seduto su un ramo riflette sulla propria esistenza

Il Leone d'Oro di Venezia 2014, un capolavoro che arriva finalmente nelle sale italiane

Un piccione seduto su un ramo riflette sulla propria esistenza

19.02.2015 - Autore: Alessia Laudati
Roland Barthes, in “Frammenti di un discorso amoroso”, aveva compreso prima di tutti una grande verità del racconto. Ovvero che la vastità delle sfumature che connotano il vivere quotidiano è tale da avere bisogno di pose, piuttosto che di coreografie complete, per suscitare bellezza e immedesimazione. Un piccione seduto su un ramo riflette sulla propria esistenza, film trionfatore dell’ultimo Festival di Venezia, similmente all’architettura interna del libro dello scrittore francese, dipana, attraverso un unico ralenti onirico, l’estasi e insieme la tragedia dell’essere vivi e in continuo movimento.



La sfida per Roy Andersson non era di certo delle più semplici. Un grande ritratto umano ha l’aspirazione dell’universalità e lo spauracchio della banalizzazione. Eppure, l’iperrealismo della scena, la fissità della macchina da presa in uno spazio rarefatto, mai epico, mai presuntuoso, regalano al film l’omogeneità del grande capolavoro.

Solo la maestria di un registro stilistico nuovo riesce a raccontare con leggerezza, in assenza di una vera e propria trama, argomenti come la sacralità infranta della morte, l’analfabetismo comunicativo e l’apatia di un’umanità votata alla disperazione. Accanto all’esistenzialismo, trova poi spazio la più solida narrazione della contemporaneità di alcuni episodi storici. La molestia perpetrata da un soggetto femminile e l’orrore di uno sterminio insensato sono entrambe dimostrazioni della sincerità di un lavoro che non risparmia nulla ai propri personaggi in celluloide e tantomeno al pubblico che osserva una versione poetica della propria esistenza di carne.



Un piccione seduto su un ramo riflette sulla propria esistenza è distribuito in Italia da Lucky Red.