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Point Break - La nostra recensione del remake

Lo sfoggio di abilità rimane nella finzione cinematografica, troppo fine a se stesso per poter emozionare i nostalgici del film originale.

25.01.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
I più accaniti videogiocatori saranno familiari con il concetto di Upgrade, o di espansione, di una storia esistente. Al cinema questo concetto viene generalmente sviluppato secondo linee diverse, necessariamente narrative, approfittando degli strumenti di reboot e spinoff. Anche perché aggiungere solo nuovi livelli, o scene, per quanto spettacolari e teoricamente avvincenti, resterebbe un esercizio 'vuoto' se non supportato da una adeguata narrazione o uno sviluppo coerente del contesto su cui inserirle…



Purtroppo, l'impressione che si ricava dal Point Break di Ericson Core è proprio di questo tipo: un atteso (al varco?) remake, certo condizionato dal suo illustre precedente, ma con l'indubbio vantaggio di poter contare sul carisma di quello per approdare nelle sale senza grandi ostacoli. Quelli che evidentemente son circolati a lungo nei corridoi della produzione visto il tempo passato (il primo script è del 1991) prima della luce verde.

Arrivata invece per il progetto del regista dell'Invincible - Imbattibile con Mark Wahlberg (decisamente più semplice, ma meglio costruito e piacevole), che evidentemente aveva confidato troppo sulla sceneggiatura di Kurt Wimmer, già autore di quelle di Total Recall - Atto di forza, Salt e dei due Ultraviolet ed Equilibrium (anche diretti come regista).



L'idea migliore è la creazione delle (ovviamente fittizie) "Osaki 8" - otto prove da svolgere in condizioni estreme, per aria, terra e acqua, per celebrare la natura e trovare con essa una speciale connessione - ottimo spunto per rinnovare il tema dell'eco terrorismo su cui si reggeva il precedente. Evidentemente però la necessità di dare sufficente spazio ai diversi sfoggi di abilità in sport estremi di vario tipo finisce con il fagocitare ogni altra possibilità.

Si finisce cosi per scimmiottare la motivazione che fu - restando a metà tra citazione e innesco - senza riuscire ad andare oltre una generica e superficiale retorica new age e quella che è già stata definita come "pornografia sportiva", per l'ostentazione vana di ogni tipo di evoluzione letale. Le splendide discese in snowboard di vette innevate, gli - immancabili - scontri con onde alte decine di metri, i voli in caduta libera dei 4 'piccoli indiani' restano così eccezionali e affascinanti, ma assolutamente inutili nell'evoluzione della vicenda.



Che rimane addirittura condizionata dalla necessità di cedere tempo all'azione senza poter strutturare molto altro: né l'indagine del poco espressivo agente (detto) Utah, né la sua storia con la Samsara interpetata da Teresa Palmer, né il suo rapporto con il pur decente Bodhi di turno. Tutti colpi che restano in canna al film, e che inevitabilmente portano lo spettatore ad attendere - in definitiva, annoiato - uno switch che tarda ad arrivare.


Point Break, in sala dal 27 gennaio, è distribuito da Eagle Pictures