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Manifesto, la recensione: tredici personaggi per la camaleontica Cate Blanchett

L'attrice di Blue Jasmine e Thor: Ragnarok interpreta 13 personaggi diversi per la regista tedesca Julian Rosefeldt.

20.10.2017 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Poche volte una dichiarazione programmatica e un progetto intellettuale sono stati così intriganti per il pubblico, o quanto meno hanno avuto degli spettatori - o ascoltatori - tanto curiosi di vedere dove si 'andasse a finire'. Il Manifesto dell'artista tedesca Julian Rosefeldt potrebbe riuscire in cotanta impresa, a meno di non allontanarsene troppo rapidamente, magari per averne smascherato gli intenti o la logica. O almeno aver creduto di averlo fatto, visto che un esercizio del genere rischia di risultare vano, se non erroneo, alla prova dei fatti.



Tredici situazioni fanno da cornice all'interpretazione di altrettanti monologhi, costruiti su manifesti storici, politici e legati a movimenti artistici e culturali: dai futuristi ai dadaisti, passando per il pop, l'arte concettuale, il situazionismo e il surrealismo. E altri, ovviamente, ma tutti recitati da una mai tanto poliedrica e virtuosistica Cate Blanchett, qui nei panni di tredici diversi personaggi: dal barbone alla presentatrice televisiva, dalla broker all'operaia, dalla maestra di scuola alla coreografa e la punk! Non tutte ugualmente convincenti, ovviamente, ma non è certo la perfezione stilistica o la riuscita della singola performance l'obbiettivo finale della regista.

Per quanto varia, multipla, e arricchita da location incredibili (come la stazione NSA di ascolto abbandonata di Teufelsberg o il Jacob and Wilhelm Grimm Center di Berlino) in qualche modo, la forma è contenuto. Eppure a mancare sembra esser proprio questo. E il senso finale dell'operazione: splendida e intrigante, eppure dichiaratamente e intrinsecamente contraddittoria. Il flusso continuato di concetti finisce con l'ubriacare e con il confondere i significati nell'affermazione di verità tanto differenti. Novità che si susseguono proclamando la loro superiorità sulle altre, in un infinito superarsi che di fatto finisce con l'indebolire ogni singolo assunto.



Il trionfo del relativismo, insomma, e dell'individualità, artistica e non solo. Tant'è che più delle parole quel che arriva allo spettatore sono le Cate Blanchett che le pronunciano, e più ancora i soggetti cui sono destinate (da una famiglia riunita ai partecipanti di una festa, agli alunni di una classe e un gruppo di darkettoni sconvolti) a restare impressi. Un insistito questionare ogni nostro convincimento, che mira a svuotare di senso assiomi fondamentali, ora per alcuni ora per altri, e a riportare 'al centro' la libertà di ispirazione e di plagio, negando ogni definizione di arte, fino a negarla. O magari a liberarla.

Manifesto, in sala nei giorni di 23, 24 e 25 ottobre 2017, è distribuito da I Wonder Pictures
 
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