Piergiorgio Welby ha lottato fino all'ultimo perché il suo diritto di porre fine alla propria vita, segnata ma non così tanto da voler essere identificata esclusivamente con la distrofia muscolare progressiva, potesse essere fatto valere non solo per sé, e nel suo paese, ma anche per tutti quelli che dopo di lui si sarebbero trovati in una situazione simile.
Un concetto di esistenza di certo collettivo ed estensivo. E questo documentario, Love is All, dei registi Francesco Andreotti e di Livia Giunti, entrambi toscani e entrambi in competizione nella sezione Panorama del Festival dei Popoli, riprende la dimensione universale dell'esistenza di Piergiorgo Welby, scegliendo il registro d'autore e l'accostamento delle parole vere scritte dal protagonista, con le immagini dei suoi dipinti e spezzoni di filmini privati. E con Love is All emerge un ritratto allo specchio narrato quasi in prima persona, perché Piergiorgio Welby ha negli anni scritto molti libri, poesie, frammenti di discorso.
E' quindi un viaggio nell'anima, questo Love is All, dove con molta umiltà i due registi decidono di far parlare dall'interno e con voice over cadenzato, l'unico vero eroe di questa storia. E non pensate quindi al biopic, alla sua struttura lineare, ai suoi tempi dettati dalla cronologia degli eventi. Questo è un prodotto diverso e spirituale. Intenso, e come tutte le opere monografiche che possano dirsi di valore, riesce a far emergere l'amore per la vita di Welby, insieme alle sue paure e alla difficoltà della propria condizione, fino al punto in cui ci troviamo davanti un uomo che ha sovrastato, per capacità di analisi e poetica, la malattia. Eppure, nonostante la forza della storia privata di Welby, non siamo di fronte ad un lavoro perfetto. Il ritmo è lento, troppo, e anche la dimensione quasi onirica con la quale potrebbe essere giustificata questa andatura a passo d'uomo, sembra essere a volte un po' forzata.
Un concetto di esistenza di certo collettivo ed estensivo. E questo documentario, Love is All, dei registi Francesco Andreotti e di Livia Giunti, entrambi toscani e entrambi in competizione nella sezione Panorama del Festival dei Popoli, riprende la dimensione universale dell'esistenza di Piergiorgo Welby, scegliendo il registro d'autore e l'accostamento delle parole vere scritte dal protagonista, con le immagini dei suoi dipinti e spezzoni di filmini privati. E con Love is All emerge un ritratto allo specchio narrato quasi in prima persona, perché Piergiorgio Welby ha negli anni scritto molti libri, poesie, frammenti di discorso.
E' quindi un viaggio nell'anima, questo Love is All, dove con molta umiltà i due registi decidono di far parlare dall'interno e con voice over cadenzato, l'unico vero eroe di questa storia. E non pensate quindi al biopic, alla sua struttura lineare, ai suoi tempi dettati dalla cronologia degli eventi. Questo è un prodotto diverso e spirituale. Intenso, e come tutte le opere monografiche che possano dirsi di valore, riesce a far emergere l'amore per la vita di Welby, insieme alle sue paure e alla difficoltà della propria condizione, fino al punto in cui ci troviamo davanti un uomo che ha sovrastato, per capacità di analisi e poetica, la malattia. Eppure, nonostante la forza della storia privata di Welby, non siamo di fronte ad un lavoro perfetto. Il ritmo è lento, troppo, e anche la dimensione quasi onirica con la quale potrebbe essere giustificata questa andatura a passo d'uomo, sembra essere a volte un po' forzata.
Dall'altra parte, la struttura del film, caotica, irregolare, restituisce una linfa emotiva al personaggio che seppur intricata, a volte granitica, ce lo mostra nella sua dimensione più autentica e interiore. Per gli eventi duri e puri invece, quelli possono essere invece messi sulla linea del tempo e letti in altre sedi, visto che la storia del paese li racconta con puntualità. Ma qui non interessa. Piace la dimensione di amore per la vita, che come enuncia il titolo del documentario, è davvero tutto.