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Lone Survivor – La nostra recensione

La bellezza della messa in scena non basta a salvare un film troppo retorico

Lone Survivor

19.02.2014 - Autore: Adriano Ercolani, da New York
Lone Survivor è un film profondamente americano. Idee come la fratellanza, il codice d’onore, il sacrificio per il gruppo sono totalmente radicate nelle istituzioni militari statunitensi, come lo sono i quattro NAVY Seals protagonisti di questa vicenda (vera) avvenuta il 28 giugno del 2005. Quattro soldati in missione per assassinare un membro importante di Al Qaeda vengono sorpresi da tre civili afghani. Cosa fare? Eliminare i testimoni e continuare con la missione o lasciarli andare e rischiare che facciano la spia al gruppo di nemici ben più numeroso?


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Peter Berg non è un cineasta con un occhio particolarmente raffinato, i suoi precedenti film lo hanno dimostrato. Ma allo stesso tempo si è confermato uno che sa come mettere in scena un film e costruire uno spettacolo magari grezzo ma comunque efficace, vedere in particolare The Kingdom. Dal momento che è anche dotato di una certa furbizia, costruisce l’inizio di Lone Survivor sulla falsariga del suo successo di critica più fulgido, la serie TV Friday Night Lights. I primi venti minuti del film sembrano in tutto e per tutto un episodio del prodotto televisivo, con tanto di note di quegli stessi Explosions in the Sky che avevano musicato la sigla della serie.

La prima parte del film è cinema di genere accettabile, un prologo ben ritmato e tutto sommato stringato. Quando però comincia la caccia all’uomo che vede i quattro NAVY Seals braccati dal mini-esercito di talebani, eco che tutta la peggior retorica pervade sia la trama che soprattutto la messa in scena. Se Berg però si fosse limitato all’uso smodato dei ralenti per sottolineare la drammaticità del momento e l’eroismo dei soldati americani, tutto sommato avremmo potuto anche resistere. Il fatto è che nella messa in scena delle sofferenze patite dai protagonisti si insinua un vago e fastidiosissimo compiacimento, sensazione confermata dallo stallo della trama che si ferma per lasciare spazio alla violenza perpetrata nei confronti dei personaggi. Il ricordo, anche se con le dovute e sempre presenti proporzioni, torna all’operazione sensazionalistica portata avanti da Mel Gibson con La passione di Cristo. Tentare più o meno consciamente di far passare i soldati per martiri è un qualcosa che va ben oltre la glorificazione del modo di pensare e agire americano.



E se poi Lone Survivor ha il pregio di parlare del conflitto combattuto in Afghanistan – perché ci sono un buon numero di film americani ambientati in Iraq e così pochi invece in Afghanistan? Forse perché è più difficile ammettere che era una guerra anche quella che all’inizio veniva spacciata per una missione di pace? – spreca questa intuizione con un’ultima parte grondante buonismo e propaganda filo-interventista di bassa lega. Un risultato più che decente nella forma, ma abbastanza inquietante nei contenuti.

Lone Survivor, in uscita il 20 febbraio, è distribuito dalla Universal.

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