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Ladyhawke compie 30 anni: la storia di un cult

Il classico fantasy di Richard Donner uscì in USA il 12 aprile 1985. Ecco perché lo amiamo tanto ancora oggi

Ladyhawke - Michelle Pfeiffer

10.04.2015 - Autore: Marco Triolo
Il 12 aprile, Ladyhawke taglierà un traguardo di tutto rispetto: trent'anni dalla sua realizzazione. Usciva infatti nel 1985 e in quel giorno (ma il 18 ottobre da noi) il fantasy di Richard Donner che ha affascinato una generazione. Girato in Italia, tra Abruzzo, Lazio, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna (in particolare Campo Imperatore, Piacenza, Parma, Soncino, Belluno, Viterbo e gli studi di Cinecittà), Ladyhawke è uno dei classici di quegli anni. Ma perché ancora oggi è così amato?


Rutger Hauer e Matthew Broderick in una scena di Ladyhawke.

Perché rappresenta un periodo felice del cinema d'intrattenimento americano, innanzitutto. È un fantasy, un genere che di per sé si basava su concetti molto semplici, bene e male nettamente separati, lo spirito della migliore avventura condita con maledizioni, duelli all'arma bianca, cavalieri senza macchia, fughe, equivoci, missioni impossibili. Un genere che negli ultimi anni, come buona parte delle nostre storie, ha perso la sua innocenza. Per quanto riuscita, la saga de Il signore degli anelli ha segnato un decisivo strappo verso una maggiore complessità, sia narrativa che psicologica. I personaggi non sono più così nettamente distinti e gli anti-eroi ormai spopolano ovunque. Sembra quasi che presentare le due facce della medaglia ben distinte vada a detrimento di un'opera, ma Ladyhawke lo faceva con garbo. Il male è rappresentato da un Vescovo, folle d'amore per la protagonista Isabeau e dunque pronto a fare un patto col Demonio pur di impedire che qualcun altro la possa avere per sé. Il bene conta nelle sue fila un cavaliere ribelle, un prete sui generis, una donna bellissima e forte e, al centro di tutto, la più classica figura del fantasy: l'eroe piccolo, riluttante e fuori posto. In questo caso trattasi di un ladruncolo, Philippe Gaston, interpretato da un divertito Matthew Broderick, all'epoca sulla cresta dell'onda.


Michelle Pfeiffer posa sullo sfondo di Rocca Calascio, fortezza abruzzese in rovina che fece da set al film.

Il cast di Ladyhawke è un “Who's who” del cinema popolare anni '80. Oltre a Broderick, troviamo Michelle Pfeiffer, mai così bella nel ruolo di Isabeau; Alfred Molina in un piccolo ruolo; e soprattutto Rutger Hauer in uno dei suoi ruoli migliori: quello di Etienne Navarre, ex capitano delle guardie del Vescovo, bandito per il suo amore per Isabeau. E pensare che Hauer non era la prima scelta: è subentrato all'ultimo, quando Kurt Russell, scritturato per il ruolo di Navarre, decise di lasciare il film durante le prove generali. Dietro la macchina da presa, uno dei demiurghi dell'immaginario collettivo, quel Richard Donner che ci ha regalato classici come Arma letale, I Goonies, Superman. Alle musiche troviamo Andrew Powell, compositore e arrangiatore che ha lavorato con The Alan Parsons Project. E infatti è proprio Alan Parsons ad aver prodotto la colonna sonora, che mescola orchestra e synth per ottenere un risultato atipico nel fantasy, sicuramente kitsch eppure esaltante, nei suoi momenti migliori.


Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer.

La trama è degna di una fiaba: Navarre e Isabeau si innamorano di nascosto, e quando il malvagio Vescovo lo scopre, li maledice. D'ora in poi, di giorno Isabeau si trasformerà in un falco, di notte Navarre in un lupo. Potranno incontrarsi brevemente in forma umana solo all'alba e al tramonto, ma senza toccarsi mai. Per spezzare l'incantesimo servirà un'eclissi di sole. Una curiosità che si è persa nel doppiaggio italiano riguarda il nome della città in cui si svolge parte degli eventi. Nella versione italiana, si chiama Aguillon, ma in originale il nome è Aquila. I personaggi hanno nomi francesi, dunque è inutile una precisa collocazione geografica della storia: si tratta pur sempre di un fantasy, ambientato in un'Europa medievale idealizzata e stilizzata. Eppure il fatto che buona parte del film sia stata girata in Abruzzo, rende quel nome, così simile a L'Aquila, sicuramente non casuale.


Rutger Hauer e il suo amato falco.

“Fu la mia prima volta in Italia – ci ha raccontato l'anno scorso il grande Rutger Hauer – Guidavo il mio camper e parcheggiai a Campo Imperatore, un posto tranquillo e stupendo. Del set ricordo che gli italiani non smettevano mai di parlare! Non erano abituati a fare i film in presa diretta e Donner continuava a gridare 'Fate silenzio, dannazione!', ma nessuno lo ascoltava perché non parlavano inglese. Allora Dick chiedeva a Vittorio Storaro [direttore della fotografia, ndr] di fare qualcosa e lui li zittiva subito”. E ancora: “Lavorare con gli animali è stata la parte più dura. Avevo il falco sul braccio, il cavallo sotto e allo stesso tempo dovevo recitare. In quei casi devi conoscere il linguaggio del corpo degli animali, sapere cosa vuol dire se un cavallo rizza le orecchie o un falco volta la testa all'improvviso. Ma alla fine ci sono riuscito. Se vi capiterà di rivedere il film, sappiate che ogni volta che il cavallo impennava me la facevo sotto, anche se all'esterno dovevo rimanere impassibile. È in questi casi che conta saper recitare”. La classe non è acqua.