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La recensione di A Beautiful Day, un grandissimo Joaquin Phoenix strizza l'occhio a Taxi Driver

L'attore premiato a Cannes per l'ottimo film di Lynne Ramsay finalmente nelle nostre sale

30.04.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Barba lunga, capelli raccolti, un sicario si aggira tormentato per le strade di Cincinnati. Ha il volto di Joaquin Phoenix (l’ex militare Joe nel film), magistrale nell’alternare la brutalità a momenti di tenerezza. La madre anziana lo aspetta e, quando si incontrano, si scambiano le parti. È lui a prendersi cura di lei, a stringerla forte dopo che si è spaventata guardando Psycho di Hitchcock. Poi esplode la violenza, quella che ha caratterizzato il cinema di Lynne Ramsay fin dai suoi primi lavori.

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In A Beautiful Day riprende il tema dell’infanzia massacrata di Ratcatcher, per poi immergersi nell’oscurità di …e ora parliamo di Kevin. Un figlio maltrattato si trasforma in uno spietato assassino, come il nostro protagonista, tormentato dal passato. Trova conforto nel soffocamento, mentre si chiude un sacchetto sulla testa e per un attimo si isola dal mondo. Forse è solo masochismo, un vano tentativo di espiazione della sua ferocia. Semina morte con un martello, come in Old Boy di Park Chan-Wook. Prova a essere il padre che non ha mai avuto, cerca di salvare le bambine che hanno subito abusi. 
 
Léon si fonde con Taxi Driver, con alcuni ammicchi anche a Drive di Nicolas Winding Refn. Joe si accompagna con una bambina che deve iniziare una nuova esistenza, mentre la società cerca di schiacciarli. Un uomo può suicidarsi nell’indifferenza generale. I protagonisti sono reietti, hanno perso tutto, in particolare loro stessi. Si parla pochissimo in A Beautiful Day, regna il silenzio. Bastano le immagini, la narrazione ellittica che regala alla storia una dimensione surreale. La luce del giorno fa da contrasto all’ombra che si annida nel cuore di Joe, nei suoi occhi si leggono i tormenti dell’anima. 
 
La macchina da presa si muove lentamente e spesso non riprende le mattanze. Preferisce scrutare il dolore, denunciare un’America che si è dimenticata anche dei suoi soldati. I reduci lasciano la mente sul campo di battaglia, e non tornano a essere quelli di prima. Si rifugiano nella follia quotidiana, come questo Joe diventato vittima e aguzzino. Lo Stato è il nemico, ma Lynne Ramsay supera le istituzioni terrene per rapportarsi con l’inconscio. La sequenza del funerale è forse quella più toccante, con una discesa agli inferi del corpo e un nuovo battesimo per lo spirito. In fondo c’è ancora speranza. 


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La regista rifiuta il cinismo e in qualche modo crede nell’avvenire, nei cambiamenti drastici e all’apparenza incomprensibili narrati in Morvern Callar. Non vuole essere estetizzante, ma adotta un linguaggio riconoscibile, fatto di sguardi, sangue e tenebre. E poi la musica di Johnny Greenwood, lo stesso che accompagna Paul Thomas Anderson nei suoi capolavori, irrompe con furia nelle azioni urbane di un antieroe selvaggio. Joe non conosce la grazia o la pietà, rappresenta un mondo classista che ingoia tutto ciò che incontra per poi abbandonarlo all’angolo di un marciapiede. I corpi si intrecciano, l’innocenza lascia il posto all’angoscia, e la stella di Lynne Ramsay non smette di splendere.

A Beautiful Day, in arrivo dall'1 maggio, è distribuito da Europictures