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Hacksaw Ridge – La recensione del nuovo film di Mel Gibson

Un fiume di retorica per il ritorno alla regia di Mel Gibson. Ma pochi come lui sanno raccontare il campo di battaglia

Hacksaw Ridge

04.09.2016 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
La retorica abbonda in Hacksaw Ridge, l’atteso ritorno alla regia di Mel Gibson a dieci anni da Apocalypto. Ma era inevitabile, dopotutto stiamo parlando dell’autore de La passione di Cristo e Braveheart. E stiamo parlando di un film in cui un uomo di fede rinuncia a portare armi nella Seconda Guerra Mondiale, preferendo “rimettere insieme qualche pezzo del mondo, mentre sono tutti così intendi a farlo a pezzi”. Nonostante ciò, Hacksaw Ridge dimostra ancora una volta quanto Gibson abbia l’occhio e il cuore del grande narratore.



La storia, vera, è quella di Desmond Doss (Andrew Garfield), avventista del settimo giorno – confessione religiosa che celebra il sabato come giorno di riposo e l’infallibilità delle scritture – che sceglie di arruolarsi ma non intende uccidere nessuno, né tantomeno impugnare un’arma da fuoco. Il suo scopo è quello di servire come soccorritore sul fronte. La prima parte del film riguarda la sua battaglia per farsi accettare nell’esercito, che culmina in un processo davanti alla corte marziale. La seconda, invece, ci porta dritti sul campo di battaglia di Okinawa, dove Doss dimostra il suo valore e si lancia con coraggio sul campo di battaglia per salvare le vite dei suoi commilitoni.

Date le ben note convinzioni religiose del regista, era inevitabile che un po’ di retorica venisse dispensata per raccontare la figura storica di quest’uomo coraggioso. C’è spazio per considerazioni sulla fede, per momenti di commozione patriottica e tutto il repertorio a cui ci ha abituato il cinema americano. Non potevamo aspettarci altrimenti, conosciamo Mel Gibson e conosciamo il suo cinema. Ciononostante, Gibson riesce a tenersi a freno abbastanza bene per buona parte del film, evitando trappole eccessive e soprattutto evitando di calcare la mano sull’aspetto religioso, dando anzi a Doss motivazioni ben più terrene per la sua scelta di campo.



E poi entra in scena la guerra, e non ce n’è più per nessuno. Come il narratore consumato quale è, Gibson sa mettere in scena la violenza e la brutalità della guerra e dei campi di battaglia come pochi altri. La lunghissima sequenza dell’assalto a Hacksaw Ridge spazza via la maggior parte delle scene di battaglia degli ultimi anni, si innalza fino quasi a raggiungere la perfezione dello sbarco in Normandia orchestrato da Steven Spielberg in Salvate il soldato Ryan. Quasi, perché Spielberg sa essere più asciutto quando deve, mentre Gibson abbonda di ralenti e “grandi momenti”. Eppure è impossibile non rimanere travolti da cotanto dispiego di mezzi e inventiva, dalla voglia di girare una scena di guerra come si faceva prima dell’avvento della CGI, con stunt, trucchi, esplosioni. Ci sono idee di regia maestose e ogni colpo sparato ha un impatto devastante sia fisicamente che mentalmente. Ogni dettaglio è perfettamente chiaro, ogni inquadratura cristallina (anche grazie alla fotografia di Simon Duggan).

Nel finale fa capolino ancora la retorica, questa volta forte e un po’ forzata. Il racconto morale raggiunge il suo apice ed escono quelli che sono un po’ gli eccessi del cinema americano quando si tratta di raccontare gli eroi. Ma a questo punto Gibson ci ha travolti, stesi. Ci ha comprati, lui è l’interpretazione innocente di Andrew Garfield. Non possiamo oggettivamente chiedere di più.

Hacksaw Ridge sarà distribuito in Italia da Eagle Pictures. Qui il trailer.

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