Quattro film - gli ultimi - e quattro inviti al concorso che permette di puntare alla Palma d'oro (con due Gran Premi della Giuria, per Gomorra e Reality): con Dogman Matteo Garrone sferra l'ennesimo assalto al Festival di Cannes, e lo fa con una storia locale e universale insieme, violenta e intima, forte e fotografata magnificamente che potrebbe dare del filo da torcere alla giuria guidata da Cate Blanchett.
Tutto nasce da un fatto di cronaca nera, reale, quello relativo al Canaro della Magliana, che nel 1988 uccise il suo 'amico' e pugile dilettante Giancarlo Ricci seviziandone il cadavere in una maniera che fece inorridire l'opinione pubblica. Ricordate quel fatto? Bene, dimenticatevelo. Perché il modo peggiore per affrontare la rilettura fattane dal regista romano è quello di aspettarsi una ricostruzione. Niente di più sbagliato, e controproducente, visto che nel protagonista interpretato da Marcello Fonte (arrivato al cinema quasi per caso, da custode della Sala Palazzo di San Lorenzo a Roma) c'è un uomo molto diverso dal Pietro De Negri che fu, e sarebbe un peccato mal giudicarlo solo perché meno incline all'efferatezza.
[CANNES 2018: LE ITALIANE E GLI ITALIANI SULLA CROISETTE]
Certo, il finale del film potrà lasciare un senso di insoddisfazione, ma sarà un'impressione momentanea, ché vi accorgerete presto di sentirvi saziati dalla caratterizzazione offerta sullo schermo. E dall'intreccio di pulsioni contrapposte messe in scena dal filmmaker e dai suoi attori. Soprattutto l'evoluzione di Marcello, il Canaro, ci regala un arco narrativo capace di comprendere le sue debolezze - anche fisiche - come le sue frustrazioni, il senso di colpa e il desiderio di giustizia, facendone una figura difficile da inquadrare univocamente, nonostante l'apparente irrilevanza.
Un Pinocchio alternativo, che trova una diversa catarsi e invece di trasformarsi in bambino finisce con l'avvicinarsi alla bambola assassina Chucky. E che si rivela una delle frecce nell'arco di Garrone, che gioca con l'immagine sua e del mondo che lo circonda, degradato e surreale (di nuovo il Villaggio Coppola di Castel Volturno di Gomorra e L'imbalsamatore, affidato allo scenografo Dimitri Capuani). Luci gialle su sfondi grigi sono i contrappunti fotografici di Nicolaj Bruel che allontanano lo sfondo, mentre ci addentriamo in esso fino a esserne avvolti e prigionieri. E sono anche le stesse riprese a stringersi sempre più sui personaggi, colmando certe irregolarità nello sviluppo. Che sceglie di omettere momenti importanti e personali, mostrandocene però gli effetti e riuscendo così ad evitare didascalismi e compiacimento, non tanto per la paura di scivolare nel censurabile (come dimostrano certe scene, comunque violentissime), quanto piuttosto - probabilmente - per la scelta di accompagnare il nostro nel suo sempre meno lucido delirio.
Dogman, in sala dal 17 maggio 2018, è distribuito da 01 Distribution.
Tutto nasce da un fatto di cronaca nera, reale, quello relativo al Canaro della Magliana, che nel 1988 uccise il suo 'amico' e pugile dilettante Giancarlo Ricci seviziandone il cadavere in una maniera che fece inorridire l'opinione pubblica. Ricordate quel fatto? Bene, dimenticatevelo. Perché il modo peggiore per affrontare la rilettura fattane dal regista romano è quello di aspettarsi una ricostruzione. Niente di più sbagliato, e controproducente, visto che nel protagonista interpretato da Marcello Fonte (arrivato al cinema quasi per caso, da custode della Sala Palazzo di San Lorenzo a Roma) c'è un uomo molto diverso dal Pietro De Negri che fu, e sarebbe un peccato mal giudicarlo solo perché meno incline all'efferatezza.
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Certo, il finale del film potrà lasciare un senso di insoddisfazione, ma sarà un'impressione momentanea, ché vi accorgerete presto di sentirvi saziati dalla caratterizzazione offerta sullo schermo. E dall'intreccio di pulsioni contrapposte messe in scena dal filmmaker e dai suoi attori. Soprattutto l'evoluzione di Marcello, il Canaro, ci regala un arco narrativo capace di comprendere le sue debolezze - anche fisiche - come le sue frustrazioni, il senso di colpa e il desiderio di giustizia, facendone una figura difficile da inquadrare univocamente, nonostante l'apparente irrilevanza.
Un Pinocchio alternativo, che trova una diversa catarsi e invece di trasformarsi in bambino finisce con l'avvicinarsi alla bambola assassina Chucky. E che si rivela una delle frecce nell'arco di Garrone, che gioca con l'immagine sua e del mondo che lo circonda, degradato e surreale (di nuovo il Villaggio Coppola di Castel Volturno di Gomorra e L'imbalsamatore, affidato allo scenografo Dimitri Capuani). Luci gialle su sfondi grigi sono i contrappunti fotografici di Nicolaj Bruel che allontanano lo sfondo, mentre ci addentriamo in esso fino a esserne avvolti e prigionieri. E sono anche le stesse riprese a stringersi sempre più sui personaggi, colmando certe irregolarità nello sviluppo. Che sceglie di omettere momenti importanti e personali, mostrandocene però gli effetti e riuscendo così ad evitare didascalismi e compiacimento, non tanto per la paura di scivolare nel censurabile (come dimostrano certe scene, comunque violentissime), quanto piuttosto - probabilmente - per la scelta di accompagnare il nostro nel suo sempre meno lucido delirio.
Dogman, in sala dal 17 maggio 2018, è distribuito da 01 Distribution.