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Chiamami col tuo nome: la recensione del film di Luca Guadagnino

Una storia d'amore gay in un'assolata estate italiana del 1983. Una storia d'amore universale che parla a tutti e di tutti

Chiamami col tuo nome

25.01.2018 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Luca Guadagnino è un autore che da sempre dà molta importanza al reparto visivo dei suoi film, e non a caso sta preparando il remake di Suspiria. Lo stile-sopra-la-sostanza dei suoi lavori non ha mancato di respingere in passato, attirando critiche per le evidenti velleità “d'autore” del regista. Non stupisce, dunque, che sia stato proprio un film come Chiamami col tuo nome a far cambiare idea a molti detrattori di Guadagnino, che si sono perdutamente innamorati di questa storia romantica e passionale ambientata in un'estate italiana del 1983. Perché il film, tratto da un romanzo di André Aciman (che ha anche un ruolo), è scritto da James Ivory. Non solo, dunque, la derivazione letteraria ne fa per forza un'opera più di parola che immagini, ma la classica scrittura di Ivory infonde al tutto un maggiore calore, bilanciando l'arroganza autoriale di Guadagnino e portando il film a un perfetto equilibrio di dialoghi e immagini.

 
Che sono comunque potenti; la fotografia di Sayombhu Mukdeeprom (impiegato da Guadagnino anche in Suspiria) cattura la bellezza senza tempo dei paesaggi, il caldo opprimente dell'estate. Guadagnino lega in un rapporto indissolubile paesaggio e architettura, paesaggio e retaggio storico, presente e passato. Statue antiche, rovine di ogni genere (bellissima la sequenza ambientata a Sirmione, sul Lago di Garda) fanno capolino nel presente del film, un 1983 diviso tra i brani pop che andavano per la maggiore in quell'epoca nelle classifiche italiane e l'amore del protagonista Elio (Timothée Chalamet) per la musica classica. Ne esce una commistione di cultura alta e popolare tanto sincera che, finalmente, l'intellettualismo spinto di Guadagnino non infastidisce, anzi si sposa bene al contesto.
 
Una ricerca spasmodica della bellezza assoluta, della perfezione, che attraversa i secoli e si distilla nel rapporto unico tra Elio e Oliver (Armie Hammer), quell'amore perfetto che tutti cercano e che non tutti trovano nell'arco di una vita. Mentre intorno a loro gli edifici sono belli ma statuari, immobili nell'assolato paesaggio estivo, dentro di loro si agitano ormoni e sentimenti in una lotta incessante. È un continuo movimento di corpi, danze, approcci, rapporti sessuali, un fiorire di esperienze che ricorda il recente (e ancora inedito) Mektoub, My Love di Abdellatif Kechiche. Riti di passaggio spesso impacciati che alla fine assurgono a rumore di fondo. Perché, quando finalmente sboccia l'amore tra i due protagonisti, regnano il silenzio, la meditazione, la parola.

 
Il metro del successo di un film sull'omosessualità sta nel suo essere in grado di rappresentarla come qualcosa di totalmente normale. Guadagnino e Ivory ci riescono e la storia prende anche una piega imprevista – per chi non ha letto il romanzo e si immagina l'ennesima storia d'amore tragica e destinata a una fine brutale. Il messaggio finale è: essere fedeli a se stessi fino in fondo, e sostenere chi lo è anziché volerlo plasmare secondo una visione dominante del mondo. Un tema universale che tocca tutti, anche chi ha dei pregiudizi su una storia come questa.
 
Un film di formazione, un film d'amore, un film dove non succede davvero nulla eppure succede di tutto. Uno dei film dell'anno.

Chiamami col tuo nome è distribuito in Italia da Warner Bros. ed è candidato a 4 premi Oscar.