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Café Society - La recensione in anteprima del nuovo film di Woody Allen

Delude l'apertura del Festival di Cannes: una commedia sentimentale con idee riciclate dal cinema del regista che scrive e dirige la storia con il pilota automatico

Café Society

Café Society

11.05.2016 - Autore: Pierpaolo Festa, da Cannes (Nexta)
Woody Allen torna a mettere a confronto visivo il fascino metropolitano di New York con la bella vita solare e folle di Los Angeles. E ambienta la sua "nuova vecchia storia" negli anni d'oro di Hollywood, i Trenta, quelli dominati dagli Studios in grado di controllare qualsiasi aspetto della vita delle star. Sullo schermo ci racconta di un giovane gioielliere di una famiglia di ebrei del Bronx (Jesse Eisenberg) in fuga dal destino che i suoi cari hanno previsto per lui. Lo vediamo immergersi e ubriacarsi nel glamour di Hollywood rappresentato dallo zio interpretato da Steve Carell, potente produttore di uno Studio che prende il giovane sotto la sua ala.



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Il mondo dello showbusiness raccontato come un circo viene alternato al potere dei grandi film dell'epoca che Allen ricorda con nostalgia (sono quelli i film con cui è cresciuto). Peccato che sia questo paragone sia quello tra la Città degli Angeli e la Grande Mela vengano messi sullo sfondo quando Woody restringe il cerchio, concentrandosi su un triangolo d'amore molto classico tra  Eiseberg-Stewart-Carrell annacquato in quanto a pathos e con poca verve alleninana. Nell'avvicinarsi ai suoi personaggi il regista rimane comunque freddo e perfino la fotografia di Vittorio Storaro, alla prima esperienza nel cinema alleniano in questo primo film del regista girato in digitale, è troppo invasiva al punto da sbattere fuori credibilità ed emozioni.

Dopo il notevole Irrational Man, Allen torna in cabina di comando attivando il pilota automatico: e quindi via alla solita "filosofia alleniana" di occasioni perdute, della stupidità e della fragilità umana e dell'incapacità di mantenere una qualunque stabilità nella propria vita, perché come sempre siamo noi uomini la bomba a orologeria di noi stessi, bisognosi di fare e farci del male. Dopo un susseguirsi di sequenze ambientate all'interno di ville di lusso o night club la struttura del film cede non supportata nemmeno dalla sintonia dei due protagonisti. La nuova musa del regista è una Kristen Stewart bella da guardare ma troppo legnosa per essere credibile nel suo ruolo di ragazza sensibile travolta dall'amore. Di fronte a lei Eisenberg è l'ennesimo clone alleniano che riproduce esattamente ogni tic del regista in un ruolo che in passato sarebbe stato interpretato dallo stesso Woody.


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Dicevamo "vecchia nuova storia alleniana", è questa la sensazione che proviamo una volta lasciata la sala: l'aver assistito a una storia riciclata e assemblata con quei tanti ritagli, appunti e rimasugli di altre storie che Woody ha incollato per questo suo nuovo film.

Café Society arriverà sugli schermi italiani entro fine anno distribuito dalla Warner Bros
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