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Beautiful Boy, Steve Carell e Timothée Chalamet in un dramma tra padre e figlio (recensione)

La distruzione di una famiglia, la tossicodipendenza. Il film di Felix Van Groeningen presentato in anteprima alla Festa di Roma

Carrel

22.10.2018 - Autore: Gian Luca Pisacane
Album di famiglia: i ricordi, le istantanee dei momenti più belli, i figli che muovono i primi passi. E poi quella volta al bar insieme, quando il padre e il “piccoletto” si sono messi a parlare la lingua dei klingon, come in un episodio di Star Trek. La vita scorre, gli anni passano, si gioca alla famiglia felice. C’è stata una separazione, ma il dialogo non manca. Fino alla tossicodipendenza.

Il “pargolo”, ormai maggiorenne, scopre l’eroina, l’ecstasy, e tutte le droghe presenti sul pianeta. Non riesce a farne a meno, è l’inizio di un incubo. Beautiful Boy è un loop: caduta, redenzione, felicità temporanea, crollo, e si ricomincia da capo. È come se fosse diviso in molti episodi dalla stessa struttura, che non smettono di ripetersi. Perché non esiste una fine, non può esserci una soluzione o un “e vissero tutti felici e contenti”. Non nella realtà.



La speranza lascia il passo alla distruzione emotiva di un genitore, che non sa come salvare ciò che ha di più caro. Sembra che l’oscurità avvolga ogni momento della giornata, con la nostalgia di un tempo che non può tornare: i primi giorni di scuola, i giochi, la spensieratezza. Il presente è fatto di siringhe, anfetamine, telefonate nel cuore della notte e corse all’ospedale. Anche il centro di recupero è inutile. “Perché continui a farti?”, chiedono al disgraziato. “Non so, mi fa sentire bene”. Manca la forza di reagire, di rialzare la testa e ricominciare a vivere.

Nic, il protagonista, ha bisogno di guarire dalle proprie insicurezze, non smette di fuggire da ogni responsabilità. Si rifugia in una dimensione parallela, fatta di “sballo” a buon mercato. Così spreca il suo talento per la scrittura, distrugge il domani e, senza rendersene conto, anche chi lo ha messo al mondo.

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Il padre è disperato, non sa come andare avanti. L’unica soluzione è scegliere il distacco, il silenzio. Intanto passano i mesi, gli anni. Ma tutto resta immobile. Le persone si logorano, perdono la loro umanità. Diventano macchine, programmate per sbrigare le faccende domestiche, ma non per volersi bene.


Steve Carell e Timothée Chalamet offrono una prova maiuscola. Si scontrano, si abbracciano, piangono, sperano e, a tratti, arrivano a odiarsi. Di chi è la colpa? Di tutti e di nessuno. Prima dei titoli di coda si legge che: “la prima causa di morte per gli americani sotto i cinquant’anni è la droga”. Dati allarmanti, su cui il regista Felix Van Groeningen (già autore del dimenticabile Alabama Monroe) realizza il suo Beautiful Boy. Una storia comune, che potrebbe appartenere a tutti. A volte il regista spinge troppo sul pedale della musica, sull'enfasi, ma i buoni propositi e l’alchimia fra gli interpreti fanno dimenticare (in parte) certi compiacimenti. La vicenda è tratta da due bestseller: quello del giornalista David Sheff (Beautiful Boy) e di Nic Sheff (Tweak: Growing Up on Metanphetamines). Due punti di vista che si fondono, e restituiscono lo spaccato di una tragedia.

Beautiful Boy, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, arriverà in Italia con 01 Distribution