Foxcatcher - Una storia americana
Basato sulla storia vera di Mark Schultz, lottatore olimpico il cui rapporto con il coach John du Pont e il fratello Dave Schultz portò a inaspettati svilupppi.
VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Foxcatcher
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Bim
DURATA
134 min.
USCITA CINEMA
12/03/2015
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2014
di Marco Triolo
Al di là di tutto, al di là del dramma sportivo, del resoconto di un fatto di cronaca nera, della disamina psicologica di un mitomane, Foxcatcher è la storia di un'amicizia. Un'amicizia certamente morbosa e finita male, con ripercussioni gravissime sulle vite di tante persone, ma pur sempre un'amicizia.
Il nuovo film del regista di Moneyball, Bennett Miller, racconta la storia vera dei fratelli Mark e David Schultz (Channing Tatum e Mark Ruffalo), campioni olimpionici di lotta libera presi sotto l'ala protettrice di John duPont (Steve Carell), miliardario fanatico di sport e intenzionato a mettere su una squadra per competere a livello nazionale e internazionale. Ancora sport sullo sfondo di una storia vera, anche se in questo caso dalle tinte decisamente più cupe e meno edificanti. Dove Moneyball era una perfetta parabola hollywoodiana sulla volontà umana capace di superare ogni ostacolo, Foxcatcher è la storia di due anime in pena, persone solitarie e complessate incapace di rapportarsi al prossimo a un livello considerato accettabile dalla società.
La forza del film sta nelle sfumature: non viene mai “detto” cosa i personaggi sentano, non si cerca mai di circoscriverne la complessità interiore con facili battute atte a spiegare tutto chiaramente anche per lo spettatore più disattento. Al contrario, Mark Schultz è un uomo silenzioso ed enigmatico, affetto probabilmente da una forma di depressione e da insicurezze che tendono a minarne la carriera sportiva, almeno finché non subentra duPont e lo mette su un piedistallo. Schultz si sente per la prima volta valorizzato, ma la sua debole personalità fa sì che venga anche plagiato dal suo mentore fino a credere che suo fratello David lo abbia sempre tenuto sotto la sua ombra. Tra loro si sviluppa un rapporto di amicizia, o più precisamente padre/figlio, che è l'anima del film. Mark non ha mai avuto un vero padre e la figura di duPont sopperisce a questa mancanza, in maniera subdolamente consapevole. Allo stesso tempo, duPont è ritratto come un uomo ferito, solo, tormentato da problemi psichici che non vengono mai del tutto rivelati fino al risaputo, ma ugualmente scioccante, finale. Miller sceglie insomma il punto di vista di un narratore esterno, che dunque si limita a indagare la superficie per cogliere i riflessi esteriori di un tumulto tutto interiore. Dopo una serie di eventi che non staremo a descrivere, Mark sembra cambiare completamente opinione di duPont, fino al punto da voler lasciare la tenuta Foxcatcher. A prima vista può sembrare un cambiamento troppo repentino e ingiustificato, ma il punto di vista esterno di Miller dona senso al tutto: a volte, nella vita, è impossibile capire cosa ci inquieti di una persona al punto da volercene allontanare il più possibile. Eppure succede.
Il film non è esente da difetti: nella narrazione altrimenti rigorosa di Miller, che si attiene strettamente agli eventi, non si coglie molto bene il passaggio del tempo, a meno che non ci siano delle didascalie a segnalarlo. Inoltre, la discesa all'inferno della paranoia schizofrenica di duPont, elemento importantissimo per capire la sua estrema azione finale, è appena accennata e risulta poco chiara a chi non conoscesse preventivamente le vicende reali.
Ciononostante, il film mantiene una spinta emotiva notevole, anche grazie alle performance di Ruffalo, quasi materno nel suo ruolo di fratello maggiore dall'animo sensibile, Tatum, mai così introverso e tetro, e soprattutto Steve Carell. Un ruolo che gli ha regalato una nomination all'Oscar (insieme a Ruffalo), in cui non conta tanto la protesi facciale (anzi, il “naso” alla duPont distrae perché palesemente finto) quanto la cadenza frettolosa ed esagitata con cui pronuncia le battute, prova della malcelata insicurezza del personaggio. Dettagli che fanno il film e che andranno come sempre perduti nel doppiaggio.
Al di là di tutto, al di là del dramma sportivo, del resoconto di un fatto di cronaca nera, della disamina psicologica di un mitomane, Foxcatcher è la storia di un'amicizia. Un'amicizia certamente morbosa e finita male, con ripercussioni gravissime sulle vite di tante persone, ma pur sempre un'amicizia.
Il nuovo film del regista di Moneyball, Bennett Miller, racconta la storia vera dei fratelli Mark e David Schultz (Channing Tatum e Mark Ruffalo), campioni olimpionici di lotta libera presi sotto l'ala protettrice di John duPont (Steve Carell), miliardario fanatico di sport e intenzionato a mettere su una squadra per competere a livello nazionale e internazionale. Ancora sport sullo sfondo di una storia vera, anche se in questo caso dalle tinte decisamente più cupe e meno edificanti. Dove Moneyball era una perfetta parabola hollywoodiana sulla volontà umana capace di superare ogni ostacolo, Foxcatcher è la storia di due anime in pena, persone solitarie e complessate incapace di rapportarsi al prossimo a un livello considerato accettabile dalla società.
La forza del film sta nelle sfumature: non viene mai “detto” cosa i personaggi sentano, non si cerca mai di circoscriverne la complessità interiore con facili battute atte a spiegare tutto chiaramente anche per lo spettatore più disattento. Al contrario, Mark Schultz è un uomo silenzioso ed enigmatico, affetto probabilmente da una forma di depressione e da insicurezze che tendono a minarne la carriera sportiva, almeno finché non subentra duPont e lo mette su un piedistallo. Schultz si sente per la prima volta valorizzato, ma la sua debole personalità fa sì che venga anche plagiato dal suo mentore fino a credere che suo fratello David lo abbia sempre tenuto sotto la sua ombra. Tra loro si sviluppa un rapporto di amicizia, o più precisamente padre/figlio, che è l'anima del film. Mark non ha mai avuto un vero padre e la figura di duPont sopperisce a questa mancanza, in maniera subdolamente consapevole. Allo stesso tempo, duPont è ritratto come un uomo ferito, solo, tormentato da problemi psichici che non vengono mai del tutto rivelati fino al risaputo, ma ugualmente scioccante, finale. Miller sceglie insomma il punto di vista di un narratore esterno, che dunque si limita a indagare la superficie per cogliere i riflessi esteriori di un tumulto tutto interiore. Dopo una serie di eventi che non staremo a descrivere, Mark sembra cambiare completamente opinione di duPont, fino al punto da voler lasciare la tenuta Foxcatcher. A prima vista può sembrare un cambiamento troppo repentino e ingiustificato, ma il punto di vista esterno di Miller dona senso al tutto: a volte, nella vita, è impossibile capire cosa ci inquieti di una persona al punto da volercene allontanare il più possibile. Eppure succede.
Il film non è esente da difetti: nella narrazione altrimenti rigorosa di Miller, che si attiene strettamente agli eventi, non si coglie molto bene il passaggio del tempo, a meno che non ci siano delle didascalie a segnalarlo. Inoltre, la discesa all'inferno della paranoia schizofrenica di duPont, elemento importantissimo per capire la sua estrema azione finale, è appena accennata e risulta poco chiara a chi non conoscesse preventivamente le vicende reali.
Ciononostante, il film mantiene una spinta emotiva notevole, anche grazie alle performance di Ruffalo, quasi materno nel suo ruolo di fratello maggiore dall'animo sensibile, Tatum, mai così introverso e tetro, e soprattutto Steve Carell. Un ruolo che gli ha regalato una nomination all'Oscar (insieme a Ruffalo), in cui non conta tanto la protesi facciale (anzi, il “naso” alla duPont distrae perché palesemente finto) quanto la cadenza frettolosa ed esagitata con cui pronuncia le battute, prova della malcelata insicurezza del personaggio. Dettagli che fanno il film e che andranno come sempre perduti nel doppiaggio.