James Bond come non l’avete mai visto. Più malinconico ed emotivo del passato recente e alle prese con un'azione lanciata al massimo in giro per il mondo - le sequenze girate a Roma sono da brivido - sempre al cospetto della presenza glaciale di Daniel Craig. A Spectre, secondo capitolo firmato Sam Mendes e dal tono decadente che pulsa con forza, bisogna riconoscere un'anima crepuscolare decisamente innovativa.
Ad incarnarla è per esempio la forma nuova che assume il male, che in questo episodio perde i confini dello scontro fisico per mostrarsi come un potere invisibile e tecnologico, in grado di sfidare seriamente e su un territorio nuovo una spia vecchio stile come l’agente 007. Oppure, il sentimento che emerge nel parallelo tra la città di Roma, qui mostrata come estranea agli stereotipi trionfalistici alla quale ci ha abituato il cinema recente e piuttosto investita di un’aura cupa e sacrale che è metafora della struttura antica e potente che governa in Spectre.
E se questo film è da considerarsi al passo con i tempi, è perché trova il giusto equilibrio nel creare un personaggio principale, che se da un lato conserva le caratteristiche tipiche della saga tradizionale, la passione di Bond per le donne, l’ironia tranchant, il sangue freddo, il suo essere irrimediabilmente british, dall’altra rende la sua figura davvero molto attuale, con una sensibilità aggiunta che è in parte dovuta alla mano mendesiana.
Come? Regalando all’agente segreto più longevo della storia un universo nostalgico con il quale fare finalmente i conti senza tuttavia tradire così la vena prevalentemente action del film. Esempi di questa sensibilità nuova sono quindi il villain di turno - uno splendido Christoph Waltz - con il quale Bond ingaggia un gioco di sopraffazione più psicologico che muscolare, e un mondo di servizi segreti che deve necessariamente misurarsi con il grande occhio osservatore della tecnologia che quasi rende superfluo il ruolo della spia fisica, o infine la comparsa della matura Monica Bellucci, prima "over 50" della storia della saga, ad intrappolare per lo spazio di una notte il nordico sex appeal di Daniel Craig. Eppure a fronte di questo servigio ben riuscito nei confronti dello svecchiamento del personaggio, quello che rimane davvero poco rivoluzionario - ma è l’opinione esclusiva di chi scrive - è il ruolo della Bond girl di turno, Léa Seydoux, che nel tempo di qualche minuto, cedendo al fascino di Bond, incarna quel sesso debole e narrativamente piatto che speravamo di esserci lasciati finalmente alle spalle.
Un buon indizio di cambiamento era già dato dalla partecipazione di donna "over" della Bellucci, e anche dal fatto che per il resto del film Spectre è un lavoro capace di coniugare tradizione e innovazione in uno splendido equilibrio artistico. Questo ultimo episodio di James Bond poteva quindi davvero fare la differenza, regalandoci un personaggio femminile svecchiato dai cliché, visto che altrove la pellicola si prende numerosi rischi. Ma questa forse è un’altra storia e Spectre può davvero non aver paura di aver mancato l'omaggio con una delle figure storiche della letteratura inglese di sempre.
Ad incarnarla è per esempio la forma nuova che assume il male, che in questo episodio perde i confini dello scontro fisico per mostrarsi come un potere invisibile e tecnologico, in grado di sfidare seriamente e su un territorio nuovo una spia vecchio stile come l’agente 007. Oppure, il sentimento che emerge nel parallelo tra la città di Roma, qui mostrata come estranea agli stereotipi trionfalistici alla quale ci ha abituato il cinema recente e piuttosto investita di un’aura cupa e sacrale che è metafora della struttura antica e potente che governa in Spectre.
E se questo film è da considerarsi al passo con i tempi, è perché trova il giusto equilibrio nel creare un personaggio principale, che se da un lato conserva le caratteristiche tipiche della saga tradizionale, la passione di Bond per le donne, l’ironia tranchant, il sangue freddo, il suo essere irrimediabilmente british, dall’altra rende la sua figura davvero molto attuale, con una sensibilità aggiunta che è in parte dovuta alla mano mendesiana.
Come? Regalando all’agente segreto più longevo della storia un universo nostalgico con il quale fare finalmente i conti senza tuttavia tradire così la vena prevalentemente action del film. Esempi di questa sensibilità nuova sono quindi il villain di turno - uno splendido Christoph Waltz - con il quale Bond ingaggia un gioco di sopraffazione più psicologico che muscolare, e un mondo di servizi segreti che deve necessariamente misurarsi con il grande occhio osservatore della tecnologia che quasi rende superfluo il ruolo della spia fisica, o infine la comparsa della matura Monica Bellucci, prima "over 50" della storia della saga, ad intrappolare per lo spazio di una notte il nordico sex appeal di Daniel Craig. Eppure a fronte di questo servigio ben riuscito nei confronti dello svecchiamento del personaggio, quello che rimane davvero poco rivoluzionario - ma è l’opinione esclusiva di chi scrive - è il ruolo della Bond girl di turno, Léa Seydoux, che nel tempo di qualche minuto, cedendo al fascino di Bond, incarna quel sesso debole e narrativamente piatto che speravamo di esserci lasciati finalmente alle spalle.
Un buon indizio di cambiamento era già dato dalla partecipazione di donna "over" della Bellucci, e anche dal fatto che per il resto del film Spectre è un lavoro capace di coniugare tradizione e innovazione in uno splendido equilibrio artistico. Questo ultimo episodio di James Bond poteva quindi davvero fare la differenza, regalandoci un personaggio femminile svecchiato dai cliché, visto che altrove la pellicola si prende numerosi rischi. Ma questa forse è un’altra storia e Spectre può davvero non aver paura di aver mancato l'omaggio con una delle figure storiche della letteratura inglese di sempre.
In uscita il 5 novembre, 007 Spectre è distribuito in Italia da Warner Bros.