Skyfall
James Bond ritorna per la sua ventitreesima avventura, diretto dal regista di American Beauty ed Era mio padre. Il passato ritorna, e un segreto di M che sembrava sepolto spinge Bond a rimettere in questione la sua lealtà nei confronti del capo del'MI6. Quando il servizio segreto viene attaccato da un potente terrorista informatico, 007 dovrà raccogliere tutte le forze residue per abbattere la minaccia.
“Qual è il suo hobby, Mr. Bond?”. “La resurrezione”. Sono passati cinquant'anni da quando Licenza di uccidere diede il via alla saga cinematografica di James Bond. Mezzo secolo che ha visto sei attori nei panni dell'agente segreto di Ian Fleming e la bellezza di ventitré film. Skyfall, terzo episodio con Daniel Craig nel ruolo di 007, arriva giusto in tempo per stappare lo champagne. Il film di Sam Mendes è cosparso di citazioni e omaggi – le origini scozzesi di Bond che
accennano al grande Sean Connery, come volle lo stesso Fleming, la Aston
Martin con i gadget – ma prima di tutto è un ottimo film in sé.
Abbastanza slegato dalla brutalità dei due precedenti capitoli e avvolto
in una messa in scena elegante che molto deve alla splendida fotografia
di Roger Deakins – che fa buon uso di chiaroscuri e silhouette – Skyfall parte in quarta con una sequenza pre-titoli
ambientata per le strade di Istanbul, dove Bond insegue un sicario prima
in auto e poi in moto, per finire con una bella scazzottata su un treno
in corsa. Siamo in un territorio fra il classico 007 e il tocco moderno di Casino Royale e Mendes dimostra subito grande occhio per le coreografie d'azione e gli stunt “larger than life”.
I titoli di testa di Daniel Kleinman, come sempre
ipnotici, ci introducono quindi al “vero” film. Al centro una sorta di
faida famigliare che ruota intorno al passato di M (Judi Dench) e attinge anche a Shakespeare. Javier Bardem appare
poco ma lascia sempre il segno nel ruolo del “cattivo” di turno, un
terrorista informatico sessualmente ambiguo che Mendes ha definito “un
classico villain alla Bond”, anche se a ben guardare non è proprio così.
E il personaggio in sé e per sé non sarebbe nemmeno troppo riuscito e
originale: è la relazione che instaura con i due protagonisti, Bond e M,
a funzionare e trainare avanti il film. Così come non sono più di tanto
originali gli snodi della sceneggiatura, ma la messa in scena e un terzo atto da urlo tra Cane di paglia e Commando – con, sul serio, una spruzzata di Batman – conducono il film verso
soluzioni inusuali per la saga. Da applausi: il rapporto commovente tra
l'orfano Bond e una M la cui iniziale potrebbe stare per “Madre”; il
primo incontro fra Craig e Bardem con annessa tortura psicologica che fa
il paio con quella fisica di Casino Royale (in entrambi i casi c'è di
mezzo una sedia).
Vecchio e nuovo sono sempre in equilibrio fino alla conclusione, che
chiude il cerchio dopo cinquant'anni e re-introduce una serie di
elementi che i primi due episodi con Craig avevano dichiaratamente
eliminato dall'equazione. Casino Royale resta un film superiore a Skyfall, anche se è difficile paragonarli per via degli approcci così diversi – uno il prodotto di un regista come Martin Campbell, pragmatico uomo
di mestiere, l'altro nato dalla mente di un autore di profonda
sensibilità. Skyfall resta comunque un ottimo Bond e un regalo di
compleanno più che gradito.
Di Marco Triolo