Per tenersi in forma Fidel spesso misura i passi della stanza. Parte dall’angolo, si sente il polso per verificare le pulsazioni, poi parte. E’ lì che compare il dettaglio che spiazza. La camera scende giù per la classica tuta militare verde e si ferma attonita per un attimo (quasi subliminale) sul piccolo baffo bianco sulle scarpe da ginnastica nere. NIKE! Come le scarpe Nike? E l’embargo, la baia dei porci e tutto il resto?
E’ pieno di sorprese il “Comandante” ritratto da Oliver Stone. Fidel Castro fa parte di quelle icone conosciute solo per come sono dipinte da altri o per i loro discorsi pubblici. Il loro verbo è solo quello dell’oracolo. Difficilmente li comprendiamo per quello che esce dalla loro bocca senza la mediazione di un microfono. Chiaro, il microfono c’era anche qui, altrimenti il documentario non si faceva. Ma il microfono non serviva per far parlare Fidel e Stone (anzi Oliver, come lo chiama Fidel: “Oliver, andiamo che facciamo tardi….”, gli dice spesso).
Oliver Stone trova così la sua via allo stile cinematografico del ritratto intimo. E’ il co-protagonista del film in veste di intervistatore e divide con Fidel la scena. Solo correndo questo rischio è riuscito ad innescare una certa intimità tra i due. Evita l’intervista, per dar vita ad una chiacchierata in giro per l’Avana attraverso la routine quotidiana di Castro.
E poi gli stiamo addosso, vicinissimi: ci infiliamo tra le pieghe delle sue rughe, scrutiamo gli occhi intensi, il volto, le sopracciglia. Forse anche troppo poco. Il montaggio si stanca presto di questi dettagli e del viso di Fidel, si dimentica di cercargli le mani e i piedi, per prediligere qualche copertura di troppo con immagini di Cuba viste e riviste altrove.
Diabolico, invece, l’utilizzo del repertorio: analogie ironiche e rivelatrici accostano gesti simili a distanza di 40 anni. Non un buffone con il sigaro e la barba finta, quello dell’immagine diffusa dalla propaganda americana. La barba è vera. E da un filmato di repertorio si sente: “Quando avremo realizzato le nostre promesse mi taglierò la barba”. Oggi dice: “Non perdo tempo a radermi. Ho risparmiato mesi della mia vita non tagliandomi la barba”.
Stone non si sottrae al dovere delle domande più ardue: “Non le sembra ora di fare elezioni democratiche a Cuba?”Azzarda pure un: “Ma sei mai andato dallo psichiatra, Fidel?”
Si parla della storia del pianeta negli ultimi cinquantanni, del Che, di Kennedy, di Gorbaciov. Di tutto.
E Fidel non si tira mai indietro dall’obbligo della risposta.
Rifiuta solo di parlare delle sue relazioni con le donne. Ma accenna ad una domanda sul Viagra: “Diciamo che mi aiuta a pensare”, e Stone: “Potrei essere accusato di trasportare illegalmente Viagra a Cuba per far morire d’infarto il leader maximo?”.
C’è Fidel critico cinematografico che ama Sofia Loren e non disdegnava neppure la Bardot. Adora Depardieu di cui parla con ironia della stazza “importante”. Non smetterebbe mai di guardare i film di Chaplin, che di certo ne avrebbe fatto una sublime parodia. Ma in fondo ci accontentiamo del Woody Allen de “Il dittatore dello stato libero di Bananas”.
Poi c’è Fidel critico d’arte che mostra dipinti di arte contemporanea: “Guardate cosa ha fatto quest’uomo”, dice indicando un’opera, per altro niente di che, così a occhio, però l’ha detto il leader maximo. Poi racconta di aver bevuto con i leader russi degli ultimi 40 anni: “Era molto difficile competere con Elstin”, un’autentica spugna.
Chiude Fidel, prima di un abbraccio a tutti quelli della troupe: “Oliver non perda un minuto, l’aereo è messicano”. Sarà umorismo cubano?
(E’ evidente che sarebbe stato un grande attore).


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Comandante
Oliver Stone trova la via allo stile cinematografico del ritratto intimo. E' il co-protagonista del film in veste di intervistatore e divide con Fidel Castro la scena.

12.04.2007 - Autore: Claudio Moretti