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Venezia e la parità gender, Jacques Audiard accusa: “Il problema non è la selezione, ma i selezionatori”

Il regista al Lido per presentare il suo western The Sisters Brothers insieme a John C. Reilly

The Sisters Brothers

02.09.2018 - Autore: Marco Triolo
Il western è un genere tipicamente americano, ma ciò non significa che autori di altre nazionalità non abbiano tentato di cimentarsi con il mito della frontiera. Jacques Audiard, regista de Il profeta e Un sapore di ruggine e ossa, è l'ultimo di una lunga serie. Il suo The Sisters Brothers, presentato in concorso a Venezia, è un western non-western, in cui la spiccata sensibilità europea del suo autore smonta la mitologia del filone pezzo per pezzo, a partire da un romanzo di Patrick Dewitt.
 
John C. Reilly, produttore e co-protagonista insieme a Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhaal e Riz Ahmed, è salito sul palco della sala conferenze di Venezia per presentare il film insieme al regista. “Io e mia moglie Alison Dickey [co-produttrice del film] avevamo letto il manoscritto ancora prima che il romanzo fosse pubblicato”, spiega l'attore. “Mi sono ritrovato molto nel personaggio di Eli, è il suo monologo interno a raccontare la storia”. “John e Alison mi hanno contattato parlandomi del libro”, gli fa eco Audiard. “Mi ha entusiasmato, ma da solo non avrei mai pensato a dirigerne l'adattamento”. Anche perché, rivela, “Non sono un grandissimo appassionato di western. Mi piacciono i western  anni '70”. “Non ho pensato tanto a Sergio Leone quanto a film come La morte corre sul fiume e Missouri”.
 
Ne esce un film che evita molti stereotipi del genere, tanto che anche il compositore Alexandre Desplat, presente in conferenza, spiega di aver ricercato uno stile di composizione lontano dalle classiche musiche western. The Sisters Brothers si pone anche delle domande attuali: “È sempre rilevante chiedersi dove andiamo. Negli anni '50 dell'Ottocento avevamo conquistato il West uccidendo gli indiani e i bisonti. Una volta trovata una casa, è diventato evidente come questo piano di avanzare tramite la violenza non fosse sostenibile”, spiega Reilly. “Costruire questo film è stato come costruire la torre di Babele, solo che noi siamo arrivati al cielo. È stata una sfida creare dei ponti tra tutte nazioni coinvolte nella produzione, ma ne siamo usciti bene. In un momento di divisione mondiale, la nostra squadra ha lavorato in grande armonia”.
 
Audiard interviene su un altro tema scottante, quello della parità gender nella selezione del festival, tanto contestata in questi giorni.”Mi ha davvero impressionato vedere questo rapporto di venti contro uno in favore degli uomini”. Ma, aggiunge, il problema non sta nei film selezionati, piuttosto in chi seleziona. “Sono venticinque anni che i miei film vanno ai festival e non ho mai visto donne a capo di essi, ho sempre visto gli stessi volti, gli stessi uomini in ruoli diversi. È questo che non funziona e va cambiato. Perché l'uguaglianza si conta, ma la giustizia si applica”.