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The Pulp and the Hateful: i film di Quentin Tarantino dal peggiore al migliore

A 25 anni dall'uscita de Le Iene, abbiamo messo in classifica i film di Tarantino. Scoprite se siete d'accordo con noi...

Bastardi senza gloria

20.10.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Negli ultimi venticinque anni, Quentin Tarantino ha lasciato un'impronta indelebile nel cinema d'autore americano. Cavalcando, o meglio conducendo, l'onda della rivalutazione critica del cinema exploitation e dei B-movie di un tempo, Tarantino ha creato uno stile unico che fonde cinema alto e basso, nato dal suo amore sconfinato per ogni cosa venga prodotta in pellicola – un amore derivato dai suoi anni a lavorare come commesso di un negozio di videocassette. Un genio autodidatta che celebriamo, a venticinque anni dall'uscita de Le Iene, con una classifica dei suoi film, dal peggiore al migliore. Sarà durissima e forse non sarete sempre d'accordo, ma seguiteci lo stesso...

 
Mezzo film è difficile da giudicare, ma anche accoppiato con Planet Terror nell'ormai raro montaggio integrale, Grindhouse resta un film ben confezionato e con qualche buona idea, ma privo di sostanza. Un gioco che Tarantino sembra aver realizzato soprattutto per se stesso e per farsi quattro risate con l'amico Robert Rodriguez. C'è comunque grande stile nella messa in scena e il confronto con il povero Rodriguez è assolutamente impari. Divertente ma dimenticabile.

 
Appena al di sopra del divertissement gratuito c'è Kill Bill (che va preso come un film unico!), opera stracolma di citazioni e riferimenti al punto da soffocarne la resa. Chiariamoci, Kill Bill sa essere raffinato ed esaltante come le opere migliori di Tarantino e si presta a visioni multiple perché, in fondo, non si può non amare Uma Thurman che fa a fette orde di nemici con una spada. Ci sono scene indimenticabili, come lo scontro con gli 88 folli o il duello tra la Sposa e O'Ren nella neve. Ma Kill Bill è anche (a parte Grindhouse) la massima espressione del “cinema sul cinema” di Tarantino, nel senso di film che non parla d'altro se non di altri film. 
 


La sfortuna di Jackie Brown fu quella di uscire poco dopo Pulp Fiction. Come si fa a reggere la pressione di tornare dietro la macchina da presa dopo la rivoluzione copernicana del cinema indie anni '90? Semplice, si torna al classico. Jackie Brown è il film più lineare mai realizzato da Tarantino. Non c'è una struttura a episodi e non si gioca quasi mai col tempo, tranne che nella sequenza ambientata nel centro commerciale. È anche l'unico caso in cui Tarantino abbia adattato un testo non suo (il romanzo “Rum Punch” di Elmore Leonard). Eppure è un film sottovalutatissimo, solido e scorrevole, che rende omaggio alla blaxploitation (di cui Pam Grier era una star) senza però fare di questo il centro focale del film. Un thriller congegnato alla perfezione con cui Tarantino ha dimostrato senza ombra di dubbio di non essere solo un regista “pulp”, allontanandosi completamente dal filone cinematografico nato subito dopo l'uscita di Pulp Fiction.


Immaginando un ideale grafico che rapporti “stile” e “sostanza” nel cinema di Tarantino, Django Unchained sarebbe un gradino sopra rispetto a Kill Bill. Allo stesso tempo, però, oltre a essere un film di una perfezione formale ineguagliabile, è quello in cui, per la prima volta nella sua carriera, Tarantino prova a parlare di qualcosa di esterno all'universo cinematografico che domina la sua filmografia. Certo, Django è pieno di omaggi agli spaghetti western (c'è persino un gratuito cameo di Franco Nero), ma allo stesso tempo forgia un'immagine molto originale e sopra le righe all'interno del genere. E soprattutto parla di un tema forte come il razzismo, facendo a pezzi l'immagine ideale di un Sud americano in cui, in fondo, anche gli schiavi stavano benone, perpetrata dall'establishment hollywoodiano per decenni (vedere Via col vento). Il tutto confezionato come una sorta di blaxploitation ante litteram, dove ogni singolo proiettile fa esplodere litri di sangue. I personaggi di Calvin Candie (Leonardo DiCaprio) e Steven (Samuel L. Jackson) sono da antologia, ed è uno scandalo che Christoph Waltz, che rifà praticamente lo stesso personaggio di Bastardi senza gloria (trucco linguistico incluso), abbia vinto un Oscar al posto loro.


 
Poiché questa è una classifica, tocca prendere decisioni riguardo la posizione di ogni singolo film. Ma va detto che, da qui in avanti, le posizioni potrebbero essere tranquillamente invertite a piacimento, a seconda dei gusti. Immaginate i prossimi quattro film come un lungo “ex aequo”. The Hateful Eight è un capolavoro, probabilmente. È di certo il film che, più di tutti, segna una svolta nella filmografia di Tarantino: ecco un regista che, dopo aver parlato del suo amore per il cinema per tanti anni, finalmente dice qualcosa di concreto anche sul mondo in cui vive. Non che sia obbligatorio, chiariamo, ma dopo tanto tempo è una boccata d'aria fresca. Già ci aveva provato con Django Unchained, ma in The Hateful Eight il processo arriva a compimento in un'opera ambiziosa che parla della violenza nella società americana, della disuguaglianza, dell'odio razziale che serpeggia e trasforma tutti in paranoici individualisti. Tarantino è riuscito pure a far vincere un lungamente sospirato Oscar a Ennio Morricone, che ha composto la prima colonna sonora originale in un film del regista (seppur presa in parte da spartiti non utilizzati, scritti per La cosa di John Carpenter). Tanto per sottolineare ancora di più come The Hateful Eight non voglia essere solo un “riciclo” di lusso, ma dire qualcosa di originale e vero sul mondo che ci circonda.


 
Il film che ha reso Tarantino Tarantino. Le Iene è un'opera che distilla alla perfezione la sua personalissima visione del cinema. Un film di rapina che diventa ben presto qualcos'altro, qualcosa di imprevedibile e sanguinario. Uno studio sulla paranoia umana, una galleria di personaggi ognuno coi suoi vezzi, con una personalità ben definita. Scrittura di altissimo livello accompagnata da un'idea di messa in scena già chiara e rigorosa, pur se sostenuta da mezzi produttivi decisamente inferiori a quelli dei suoi film seguenti. C'è poco da fare: Le Iene è un film iconico.


 
E a proposito di icone. Impossibile, per chiunque sia cresciuto a suon di cinema negli anni '90, non aver imparato a memoria almeno qualche passaggio di Pulp Fiction. Un film epocale, che diede il via a un filone non all'altezza del suo involontario capostipite. Tarantino porta avanti l'idea di narrazione non sequenziale messa a punto con Le Iene, e usa il tempo per creare colpi di scena imprevedibili. Pulp Fiction è anche il film che ha resuscitato la carriera di John Travolta, che ha dimostrato a tutti come Sam Jackson sia “l'uomo più cool al mondo”, che ha dato una katana in mano a Bruce Willis. C'è abbastanza materiale memorabile – l'orologio, il massaggio ai piedi, Le Big Mac, il chopper di Zed, Mr. Wolf – da riempirci un'enciclopedia. Qualunque cosa farà, Tarantino dovrà sempre confrontarsi con il peso di un film che nessuno potrà mai dimenticare.


 
“Questo potrebbe essere il mio capolavoro”, fa dire Tarantino a Brad Pitt al termine di Bastardi senza gloria. E chi siamo noi per contestare l'opinione di Tarantino? Bastardi senza gloria è il suo unico vero western, nonostante ne abbia girati due “formali”. Qui c'è tutto il suo amore per il cinema a tutti i livelli, messo però al servizio di una storia coinvolgente a dir poco. Qui c'è uno dei suoi migliori personaggi in assoluto, lo Sherlock Holmes nazista Hans Landa, interpretato con delizia contagiosa da Christoph Waltz. Ma soprattutto c'è un finale che riscrive la storia e dice forse la cosa definitiva sul potere del cinema di raccontare sogni. Il potere di farci entrare in una realtà parallela, migliore o peggiore ma sempre REALE per tutta la durata del film. Il potere di terrorizzarci, divertirci e infine esaltarci. Il cinema può essere una giostra e, in quanto a giostre, Bastardi senza gloria è il più grande ottovolante di tutti.

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