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Non solo Monnezza: Tomas Milian, tributo a un gigante

Da esule cubano a stella del cinema: vita e carriera di un attore che ha segnato per sempre il genere italiano, da Cuchillo a Nico Giraldi

Squadra volante

23.03.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Da esule cubano a stella del cinema italiano. Il viaggio di Tomas Milian, scomparso ieri all'età di 84 anni, è stato uno di quelli lunghi, intensi e pieni di soddisfazioni, cadute e grandi ritorni. Una vita cinematografica. Lui era uno di quegli attori che, appena lo mettevi davanti a una macchina da presa, sapeva trasformarti un film. Sapeva creare personaggi, inventarne vezzi, parlata e abbigliamento. Giunse a Roma dagli Stati Uniti dopo essere scappato dalla Cuba di Batista e divenne romano. Talmente a suo agio da essere amato e adottato dalla città, che lo soprannominò “er cubano de Roma”. Talmente un personaggio larger than life che non aveva bisogno di frequentare i circoli dei privilegiati, ma divenne amico di tante persone normali che lavoravano nel cinema.

La notte brava (1959)
 
Tomás Quintín Rodríguez Milián nacque a L'Avana il 3 marzo 1933. Suo padre era un generale del regime di Machado e Tomas, appena dodicenne, assistette al suo suicidio dopo la presa di potere di Fulgencio Batista. Per lui fu uno choc spaventoso. Lui che, rampollo di una famiglia ricca e potente, viziato e chiuso nella sua bolla di benessere, non aveva mai pensato alle cose brutte del mondo. Fu grazie a una zia che capì di voler intraprendere la carriera di attore e allora, visto che la sua esistenza era andata in frantumi, si trasferì a New York e fu ammesso all'Actor's Studio. Poi, durante un'esibizione al Festival di Spoleto, fu scoperto da Mauro Bolognini che gli affidò un ruolo in La notte brava.

Corri uomo corri (1968)
 
Da lì parte la sua carriera cinematografica in Italia: Milian recita per Lattuada (L'imprevisto), Visconti (Boccaccio 70), Pasolini (Ro.Go.Pa.G.). Poi, stufo del cinema d'autore, decide di tentare la strada del western. E il resto è storia. Per Sergio Sollima interpreta Cuchillo in La resa dei conti e Corri uomo corri, e recita anche in Faccia a faccia. Appare in Se sei vivo spara di Giulio Questi e in Tepepa di Giulio Pietroni, accanto a Orson Welles; per Sergio Corbucci recita nell'indimenticabile Vamos a matar, compañeros. Nel frattempo si avvicina al poliziesco con Banditi a Milano di Carlo Lizzani e La vittima designata di Maurizio Lucidi. È tempo di cambiare genere, perché il western sta tramontando, e il suo viso, così particolare, si presta anche al fratellino poliziesco.

Milano odia: la polizia non può sparare (1974)
 
All'alba del poliziesco all'italiana, o poliziottesco, Milian interpreta sbirri di ferro (Squadra volante), folli assassini (Milano odia: la polizia non può sparare, prima collaborazione con il fidato Umberto Lenzi e uno dei suoi ruoli migliori in assoluto) e vigilantes (Il giustiziere sfida la città). Nel frattempo tocca il giallo all'italiana (lo straordinario Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci), torna fugacemente al western (Il bianco il giallo il nero, I quattro dell'apocalisse) e a quel punto è libero di lasciare per sempre il suo segno nel poliziesco. Arriva Roma a mano armata di Lenzi, dove nasce la sua prima maschera romana, il Gobbo. Poi la rivoluzione del genere: la seriosità del poliziottesco si sposa con la commedia e nasce Monnezza, protagonista de Il trucido e lo sbirro, La banda del trucido e La banda del Gobbo. Un personaggio che ha fatto la storia del nostro cinema di genere, le cui origini sono state aspramente dibattute tra i coinvolti: Lenzi, Milian e lo sceneggiatore Dardano Sacchetti. Milian allora fa una cosa che avrebbe destato più di un malumore: strappa Monnezza agli altri, insieme a Bruno Corbucci e Mario Amendola lo ribattezza Nico Giraldi, lo trasforma in poliziotto dai modi bruschi e la battuta pronta (ispirato apertamente a Serpico) e crea una nuova saga. Da Squadra antiscippo (1976) a Delitto al Blue Gay (1984), traghetta il genere verso la sua inevitabile disintegrazione. Troppi polizieschi prodotti in appena dieci anni: il mercato è ormai saturo e il filone è prosciugato. E lui non ce la fa più: è preda dei suoi demoni personali e decide di tornare in America.

Il trucido e lo sbirro (1976)
 
Con grandissima umiltà, riparte da zero. Fa provini e ottiene ruoli in serie televisive (Miami Vice, La signora in giallo), e finalmente torna a lavorare al cinema per Tony Scott (Revenge – Vendetta), Sydney Pollack (Havana), Oliver Stone (JFK – Un caso ancora aperto) e Steven Spielberg (Amistad). Nel 2000 il ruolo della sua tarda seconda consacrazione, il generale Salazar di Traffic, per la regia di Steven Soderbergh. Intorno al 2005 interpreta gli ultimi ruoli di rilievo, in The Lost City di Andy Garcia e La fiesta del Chivo di Luis Llosa.

Traffic (2000)
 
Negli ultimi anni aveva dichiarato con grande candore di essere bisessuale (lo scrisse nella sua autobiografia “Monnezza amore mio”). Nel 1964 si era sposato con Rita Valletti, sua moglie per tutta la vita. Gli sopravvive un figlio, Tomas Jr. Anzi no, riformuliamo: gli sopravvivono tanti figli, nipoti e nipotini, tutti quelli che lo hanno scoperto in uno dei suoi ruoli e lo hanno amato. Perché era impossibile guardare Tomas Milian in un film e non rimanere ipnotizzati, impossibile dimenticarlo. Addio Tomas, e grazie di tutto.