Nello spazio, nessuno può sentirvi urlare. O annoiarvi, se è per questo. La saga di Alien è partita con quello che è, quasi senza dubbio alcuno, il migliore horror di fantascienza di sempre. Un capolavoro che ha posto l'asticella talmente in alto da rendere il lavoro dei registi che hanno seguito Ridley Scott davvero arduo. Eppure, quella di Alien è una saga dignitosa, con qualche caduta di tono ma molti spunti – sia visivi che narrativi – indubbiamente interessanti. Persino nei suoi momenti peggiori.
In attesa di ritrovare gli Xenomorfi e Ridley Scott al cinema con Alien: Covenant, in uscita l'11 maggio da 20th Century Fox, ripercorriamo la saga di Alien classificandone i capitoli dal peggiore al migliore.
Ma prima leggete:
E ora la nostra classifica.
Il punto più basso della saga di Alien coincide con quella volta che due registi esordienti (Colin e Greg Strause) pensarono bene di trasformare la sfida aliena del secolo in uno slasher di provincia con i teenager stupidi. L'uscita italiana fu talmente curata che i titolisti manco si accorsero di quella “s” di troppo al termine di “Alien”. In originale ha senso, perché il titolo è Aliens vs. Predator: Requiem, più “alien” invece di uno solo (stessa progressione da Alien ad Aliens). In italiano pare una svista dettata dalla fretta. E lo è.
Bruttino, non c'è dubbio. Ma il primo Alien vs. Predator, diretto dal tuttofare Paul W.S. Anderson, per quanto sia il frustrante spreco di un concept potenzialmente grandioso (il videogame che lo ha ispirato vedeva i marines dello spazio combattere con entrambe le specie aliene. Non sarebbe stato meglio?), per lo meno era ancora un dignitoso B-movie di fantascienza con qualche bell'idea visiva (la piramide puzzle). Tra queste non includiamo Raoul Bova.
Quasi dispiace mettere Prometheus appena sopra i due AVP, perché siamo al lato opposto dello spettro cinematografico. Quella era semplice exploitation mirata al minimo comune denominatore, mentre il ritorno di Ridley Scott alla saga aveva l'ambizione di essere un'epica space opera piena di complessi quesiti filosofici. Peccato che quell'ambizione sia andata a scontrarsi con delle trovate di sceneggiatura tirate via, tra cui il famigerato cobra spaziale da accarezzare e Charlize Theron che corre dritta dritta sotto l'astronave in caduta libera. La colpa va certamente data a Damon Lindelof, che dimostrò come la scelta di non spiegare nulla al termine di Lost non fosse stata una scelta, ma un suo limite. Però c'è da dire che Ridley Scott avrebbe anche potuto pretendere una riscrittura, anziché andarsi a infilare a capofitto in uno spettacolare, per quanto affascinante, disastro annunciato. Da rispettare comunque la voglia di realizzare un gigantesco affresco di sci-fi classica in quest'epoca cinica e disincantata.
Alien 3 ha il problema di essere stato pesantemente manomesso dallo studio. L'esordiente David Fincher non era ancora il rispettatissimo autore che è oggi, e si fece manipolare. Il risultato è un film ben fatto ma privo di elementi innovativi rispetto ai precedenti due capitoli, una specie di “ritorno alle basi” che evitò l'escalation di Aliens e scelse di tornare allo Xenomorfo unico in un ambiente claustrofobico. Il progetto era nato con una sceneggiatura di William Gibson, padre del cyberpunk letterario, che aveva immaginato un pianeta di eremiti con strutture interamente in legno. Sarebbe stato eccezionale, ma la Fox si spaventò e “normalizzò” molto lo script. Certo, va detto che il Director's Cut meticolosamente ricostruito (anche a partire da materiali conservati male) qualche anno dopo è decisamente un passo avanti e merita di essere visto molto di più della versione cinematografica.
Jean-Pierre Jeunet fu chiamato a riportare in scena Ellen Ripley dopo il suo suicidio nel capitolo precedente. Alla fine degli anni '90 la clonazione era un tema scottante (c'era appena stato il caso della pecora Dolly), e così fu deciso che Ripley sarebbe tornata sotto forma di clone, ibridato però con i suoi eterni nemici Xenomorfi. Il risultato fu un film certamente imperfetto, con alcuni effetti speciali al computer invecchiati male, ma con idee visive da vendere. E un senso dell'umorismo grottesco assente nei film precedenti e tutto merito di Jeunet e dello sceneggiatore Joss Whedon (sì, QUEL Joss Whedon).
Chi scrive era tentato di piazzare questo per primo, ma è innegabile che l'originale di Ridley Scott debba stare in cima. Però Aliens è uno dei migliori sequel di sempre, perché James Cameron ebbe la geniale idea di fare esattamente il contrario di quello che aveva fatto il suo esimio collega britannico: laddove in Alien regnava il silenzio e la tensione, Cameron spinse il pedale dell'overkill. Marines spaziali, fucili grandi come persone, battute da smargiassi americani (“Vengono fuori dalle fottute pareti”, “Come ci difendiamo? A parolacce?”) e una miriade di Xenomorfi al posto di uno solo. Il tutto chiuso dal “catfight” più bello della storia del cinema, quello tra la Regina e una Ripley corazzata. Forse il più grande action americano degli anni '80.
Orrore e fantascienza in un'unica soluzione, una suspense che si taglia con il coltello, silenzi seguiti da momenti di terrore puro. Alien resta là, intoccabile. È qualcosa di perfetto: la perfetta protagonista (Sigourney Weaver, bellissima, sensuale, ma forte come un uomo), il perfetto mostro (creato da H.R. Giger). Ma anche le scenografie, decadenti, l'equipaggio working class. L'androide traditore. La genesi del mostro in una scena sanguinolenta che fece svenire gli spettatori in sala. Un mix impalpabile di cose giuste al momento giusto che lo fecero passare alla storia. Sarà dura per Sir Ridley tornare a questo livello, e infatti Alien: Covenant pare voler solamente evocare il look del suo capolavoro, puntando all'intrattenimento puro e semplice. Saggia mossa, perché oltre ad Alien non si può andare.