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I primi quarant'anni di Febbre da cavallo, mito nato in televisione

Steno, Proietti, Celi, Montesano sono i quattro moschettieri di un film diventato cult senza quasi accorgersene

13.03.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Il prossimo 17 maggio cadrà un importante compleanno, il quarantesimo dell'uscita nelle sale italiane di Febbre da cavallo di Steno. Certo, a leggere le critiche del 1976 il film sarebbe potuto passare quasi inosservato, commedia 'di cassetta' tra le tante di quel periodo, con un cast di attori e caratteristi che spesso si alternavano in quel tipo di prodotto, pur se dai nomi importanti.



Col passare del tempo, però, i personaggi interpretati da Gigi Proietti (accreditato con il suo nome reale, Luigi), Enrico Montesano, Adolfo Celi, Mario Carotenuto e Catherine Spaak, insieme a Francesco De Rosa, Felice Roversi, Gigi Ballista, Maria Teresa Albani e Mario Brega (senza dimenticare l'apparizione di Alberto Giubilo) sono divenuti immortali. Almeno presso il pubblico nostrano. Televisivo in primis, ma ormai non solo. Il dramma di Mandrake, Pomata e Felice - e i loro maldestri tentativi di porvi rimedio - ha infatti iniziato ad innalzare le proprie quotazioni con l'intensificarsi dei passaggi televisivi sulle reti private e locali dell'epoca.

Una goccia cinese, insomma, che ha scavato nel cuore di più di una generazione e che ha fatto di quel film un vero e proprio cult, che nessuno potrebbe mai confessare di non aver mai visto. Un cult che da "filmetto accolto con freddezza" - come lo ricordò lo stesso Proietti - è arrivato a essere presentato nel 2010 alla 67ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e a produrre un attesisissimo - quanto deludente - sequel, il Febbre da cavallo - La mandrakata del 2002. Ancora oggi, in realtà, molti si peritano di sottolineare il successo spropositato raggiunto, in relazione al reale valore del film, ma sembra più esercizio di snobismo in alcuni casi, ché Febbre da cavallo continua la sua 'galoppata', forte di gag indimenticabili, di un ritmo che farebbe la fortuna di molti suoi epigoni recenti e di uno sviluppo essenziale e privo di orpelli.



A quarant'anni da allora, i "ca**i" di Mandrake e il suo "whisky maschio", Piripicchio e Antonello da Messina, e le tante battute entrate nell'uso comune più che nella storia del cinema continuano a definire una setta sempre più ampia di accoliti, una 'fanbase' di appassionati di commedia leggera, di cavalli e scommesse, o anche solo simpatizzanti per questi 'soliti noti'. E magari a spingere alla creazione di veri e propri gruppi di visione. E incredibilmente non solo nella capitale, dove il film si svolge, e dalla romanità della quale (e dei suoi protagonisti) è connotato. E dove è stato girato, in gran parte dietro Piazza Venezia, tra piazza d'Aracoeli e piazza Margana, ma utilizzando anche le location dell'ospedale Fatebenefratelli sull'isola Tiberina, della stazione di Roma Termini (diventata quella Centrale di Napoli) e ovviamente dell'ippodromo - ormai deserto e inutilizzato (almeno dai cavallari) - di Tor di Valle, spingendosi al massimo sulla via Ostiense, verso Vitinia, dove Mandrake si ferma senza benzina.