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Arma letale compie trent'anni: come è invecchiato il capolavoro poliziesco con Mel Gibson e Danny Glover?

Il 6 marzo 1987 usciva in USA il cult diretto da Richard Donner e scritto da Shane Black

Arma letale

05.03.2017 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Era il 6 marzo 1987 quando uscì nelle sale americane un film che avrebbe lasciato il segno per sempre nel genere poliziesco: Arma letale. Uno dei migliori, se non forse IL migliore, tra i buddy cop movies, quei film in cui due poliziotti (spesso un bianco e un nero) sono costretti a lavorare insieme e forgiano un'amicizia sul campo nonostante i caratteri opposti. Ma anche una grande riflessione sulla famiglia, sulle seconde occasioni e sul retaggio della guerra in Vietnam nella mente e nei cuori degli americani.



Dietro a tutto questo c'è un grande regista, Richard Donner. Un artigiano d'altri tempi capace di sfornare una serie impressionante di classici come Il presagio, Superman, Ladyhawke e I Goonies. Ma dietro a Donner c'è un'altra mente geniale. Gli sceneggiatori troppo spesso vengono ignorati quando si parla della riuscita di un film, come se il regista fosse l'unico responsabile dell'opera. Non lo è: il cinema è uno sforzo collettivo, specialmente quando si parla di cinema commerciale (è chiaro che la visione di un Kubrick ha un peso molto più “totalitario” nella creazione di un film).

Lo sceneggiatore di Arma letale si chiama Shane Black, ed era un signor nessuno quando scrisse questo film. Si era appena laureato all'Università della California ed era pieno di belle speranze. Scrisse un lungo copione (140 pagine, vale a dire circa 140 minuti), molto più cupo della successiva stesura, decisamente più snella. Vendette questa alla Warner Bros. per 250 mila dollari. E il resto, come si dice, è storia.



Arma letale divenne un successo travolgente in un'epoca di action muscolari vietati ai minori per la violenza e il linguaggio espliciti. Incassò più di 120 milioni di dollari nel mondo. Il merito va sicuramente alla scrittura di Black, quel perfetto mix tra azione, dramma e commedia, l'accostamento di due protagonisti così diversi eppure complementari (l'aspirante suicida con niente da perdere e il quasi pensionato con tutto da perdere), con un'alchimia mostruosa. Merito bisogna dare anche alla regia di Donner, a suo agio con l'azione: tutto quello che accade sullo schermo è lucido e chiarissimo e non risparmia colpi bassi.

Ma saremmo dei pazzi se non considerassimo l'apporto fondamentale di due attori come Mel Gibson e Danny Glover. Come si diceva, il cinema è uno sforzo collettivo: scegliendo gli attori sbagliati non si va da nessuna parte. Prendi quelli giusti, e volerai molto in alto. E pensare che per il ruolo di Martin Riggs era stato considerato Bruce Willis (episodio parodiato da una scena di Palle in canna, in cui viene fatta saltare in aria la casa sulla spiaggia sbagliata: quella di Willis nei panni di John McClane). Ma Donner voleva lavorare con Gibson e lo fece arrivare da Sydney per il provino. Glover invece arrivò da Chicago.



L'incontro fu un evento che Donner ricorda ancora oggi: “Ci vollero circa due ore e, alla fine, ero al settimo cielo. Trovarono allusioni e umorismo dove non li avevo mai visti; trovarono lacrime dove non esistevano prima; e, cosa più importante, trovarono una relazione. Il tutto in una sola lettura del copione”. “Fu magico, dinamite assoluta”.

Perfetta anche la scelta di Gary Busey nei panni di Mr. Joshua, mano destra del Generale (Mitchell Ryan). Capello biondo platino e un fisico asciutto e letale, che Busey si era ricostruito negli anni precedenti dopo essere finito fuori forma. Erano anni che Busey non faceva un provino, perché la nomination all'Oscar per The Buddy Holly Story lo aveva trasformato in una piccola star a cui i ruoli venivano offerti. Non aveva più dovuto combattere per una parte, ma lo fece per Arma letale. Il finale, con la scazzottata tra lui e Gibson, è davvero imprevedibile: un incontro di boxe che mette in pausa il film per lasciare spazio a uno sfoggio di machismo tanto bizzarro quanto irresistibile.



In termini di “shaneblackismi”, questo film anticipa di vent'anni Kiss Kiss Bang Bang e The Nice Guys, ma ne contiene già tutti gli ingredienti: l'ambientazione natalizia a Los Angeles, la commistione tra hard boiled e commedia, l'incontro tra due personaggi che si odiano ma finiscono per diventare fratelli, le indagini scollegate che portano a una pista unica. Una sceneggiatura perfetta, calibratissima, senza parti in eccesso. Non stupisce che i capitoli successivi non siano mai più tornati a questo livello. Certo, non sono male, divertono, ma la commedia e i buoni sentimenti prendono il sopravvento già da Arma letale 2, smorzando tutti i toni più aspri.

E indovinate un po'? Successe perché Shane Black se ne era andato. Lo Studio non aveva amato la sua sceneggiatura di Arma letale 2, intitolata Play Dirty. Troppo cupa, troppo violenta e con un finale in cui Riggs si sacrificava per salvare la sua nuova famiglia e Murtaugh. Così Black mollò la sua creatura in altre mani (Donner rimase alla regia ma Jeffrey Boam divenne il nuovo sceneggiatore della saga) e non si guardò mai più indietro. Ma il primo capitolo resta lì, a guardarci dall'alto ancora oggi: dopo trent'anni non ha perso un'oncia del suo carisma e della sua carica esplosiva.