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Vivere, che rischio: la vita dell'oncologo Cesare Maltoni in un film che trova emozione nella scienza

Il documentario diretto da Michele Mellara e Alessandro Rossi è attualmente in tour nei cinema italiani

10.11.2019 - Autore: Pierpaolo Festa
S’intitola Vivere, che rischio ed è il film che spiega chi era Cesare Maltoni, raccontando il suo lavoro geniale e catturando anche la sua vita privata. Chi era dunque Maltoni? Il pioniere italiano della ricerca scientifica. Un oncologo di fama mondiale, più conosciuto all’estero che in patria. Un gigante della prevenzione. Il film diretto da Michele Mellara e Alessandro Rossi è attualmente in tour nei cinema d'Italia. Il 7 novembre è stato presentato al Beltrade di Milano, l'8 novembre al Massimo di Torino. E continuerà a essere proiettato nelle sale italiane per tutto novembre, con l'obiettivo di restare in tour fino a fine anno. 

Qui l'elenco delle sale dove è possibile vedere Vivere, che rischio

Oncologia, ricerca, malattia, cancro. Vivere, che rischio è, nonostante tutto questo, un film che parla della vita più di qualunque altra cosa: “La vita è il centro del film - affermano i registi ai microfoni di Film.it - La sfida suprema di Cesare Maltoni è stata la difesa dell'Uomo. Per noi è stato un umanista. La buona qualità del vivere è il centro della riflessione. Anche per questo abbiamo evitato le liste dei morti, gli elenchi dei caduti e il voyeurismo chirurgico o della sofferenza. Volevamo evitare l'empatia sulla sofferenza e invece cercare l'emozione sulla scienza”. 



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Negli anni Sessanta, Maltoni è stato il primo scienziato italiano a promuovere il pap test al seno e alla radice dell'utero per decine di migliaia di donne: "Ha salvato innumerevoli vite. Da quella felice esperienza si è sempre battuto affinché divenisse prassi istituzionalizzata nel sistema sanitario nazionale. Ha fondato l’Istituto Ramazzini, tutt’ora attivo, che ha indagato decine e decine di sostanze dannose per la salute dell’uomo e dell’ambiente (tra queste il cloruro di vinile, l’amianto, il benzene) testandone la pericolosità. Ha prima ideato e poi realizzato il primo Hospice in Italia. Solo questi tre punti lo eleggono a gigante della prevenzione: uno scienziato, ancora oggi, punto di riferimento nella comunità scientifica internazionale sia per i risultati ottenuti che per la prassi della ricerca da lui collaudata". 

Il film inizia con la voce del protagonista che racconta questa storia. Un po’ come Viale del tramonto, con Maltoni che parla dall'aldilà raccontando l'infarto che lo ha ucciso nel 2001. Come se fosse un fantasma. 
Maltoni è un fantasma. Lo esplicitiamo all’inizio del film: non c’è modo migliore di farsi condurre da un fantasma nella memoria della sua vita. Una voce in prima persona. La voce dei diari, della memoria, dei resoconto. Abbiamo usato quasi esclusivamente lettere, saggi, riflessioni e corrispondenze di Maltoni. Lui è il fantasma della nostra coscienza che ricorda ai contemporanei che il mondo a disposizione non ha risorse illimitate. E che bisogna proteggerlo e preservarlo dai soprusi di una crescita fuori controllo, tutta dedita alla ricerca del profitto e che se infischia della salute della gente. Maltoni ci morde i polpacci quando dormiamo ricordandoci che è l’uomo il bene più prezioso e non il denaro o il successo momentaneo.
 
Qual è stato il momento in cui avete chiaramente avuto la certezza di un film su Maltoni? Il momento in cui vi siete guardati e avete pensato: “Sì, crediamo che qui ci sia un film".
Quando abbiamo aperto una vecchia copia del New York Times e abbiamo letto il necrologio che il quotidiano gli dedicava. In quel momento abbiamo istantaneamente compreso l’importanza delle sue ricerche e la notorietà di questo genio della scienza in Italia quasi dimenticato. E' stata una rivelazione.

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Nel film vediamo lo stesso Maltoni riflettere su come il suo lavoro fosse accolto e stimato negli USA e praticamente ignorato in Italia. Lui aveva un atteggiamento di rassegnazione a tal proposito. Era quasi sereno.
A fine carriera è stato apertamente abbandonato dalla politica che decise di non sovvenzionare più l’Istituto Ramazzini. Era visto come uno che dava fastidio ai poteri forti. Uno senza peli sulla lingua. Non prono al volere della grande industria che veicolava, e continua a farlo, ingenti somme di denaro verso ricerche di comodo. E’ stato di fatto marginalizzato, messo in disparte; una voce scomoda che si è cercato, se non di cancellare definitivamente, almeno di quietare il più possibile. Maltoni lo scrive apertamente nei suoi appunti, riflessioni e diari. E lo attesta in varie interviste. Il suo punto di vista, documentandoci, è anche il nostro: la scienza che fa il suo lavoro è scomoda e può dar fastidio.


Quanto dunque questo vostro progetto intende essere un film "di rivalsa" per Maltoni? 
Forse non basta un film per restituire a Maltoni ciò che gli è stato negato, ossia un riconoscimento puntuale del suo valore e del peso dei suoi dati. L'Istituto Ramazzini da lui fondato non ha finanziamenti pubblici dal 2003 dopo che ha certificato la pericolosità di aspartame, formaldeide, amianto, cloruro di vinile, benzene, detonanti delle benzine verdi etc. Nelle nostre vite quotidiane cerchiamo di evitare quelle sostanze (alcune sono proibite e messe al bando) e se facciamo questo lo dobbiamo all'Istituto Ramazzini: il centro di prevenzione oncologica continua gli screening ma è fuori dal sistema sanitario pubblico, lo fa a prezzi popolari, ma come istituto privato. La città di Bologna non ha dedicato nemmeno un vicolo a Maltoni. Forse vale la pena chiedersi il perché di queste “dimenticanze”.

 

Vivere, che rischio è distribuito nei cinema da I Wonder Pictures.