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Parla Edoardo Ferrario: il comico vista Colosseo che fa ridere tutti

Romano ma non prigioniero della romanità; giovane ma non ossessionato dalla conquista esclusiva del pubblico di millennials; chi è l'istrionico ventottenne di Quelli che il calcio

Edoardo Ferrario in Esami

Edoardo Ferrario in Esami

27.04.2016 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Due cose sul curriculum di Edoardo Ferrario. Il comico romano, che ha lasciato la propria impronta sul web con Esami – parliamo di episodi da 800 mila visualizzazioni – affrontato l’esperienza del live con i suoi spettacoli da stand-up comedian arrivando in televisione dove è attualmente nel cast di Quelli che il calcio, non può contare, nonostante l'età, sulla ristrettezza dell’etichetta di indagatore ironico di una specifica sottocultura giovanile. Perché sarebbe limitante. Oltre che inesatto. Ferrario da Roma si è preso invece uno spazio importante. E oggi fa ridere in molti luoghi e interpretando diversi caratteri; spesso in un solo numero comico.

E quindi, visti i successi, abbiamo cercato di capire incontrandolo dove vuole arrivare questo giovane artista di cui tutti parlano e di cui, tanti, ridono. 
 
Sappiamo che ti sei formato all’Accademia del Comico a Roma e i tuoi insegnanti ci hanno detto che eri molto determinato fin da subito... 
Mi fa piacere (sorride). La voglia di fare il comico professionalmente nasce da una grande ambizione. Per qualche motivo poi mi sono iscritto a Giurisprudenza. Volevo fare la Facoltà di Lettere ma poi pensi che ci fai con Lettere e allora ho pensato di fare una cosa con la quale ci potevo fare persino meno e nemmeno mi piaceva. Parallelamente mi sono iscritto all’Accademia del Comico; dove ho imparato a scrivere un dialogo e a relazionarmi con il pubblico. E mi sento fortunato ad aver iniziato solo con i live piuttosto che con YouTube. Nel live la vicinanza con il pubblico è brutale. Però la comicità si completa con il pubblico. E se il pubblico non ride passi davvero un brutto momento. 
 
Sei andato dai tuoi genitori dicendo: ‘Mamma, papà, da grande voglio fare il comico’?
Non c’è stato questo tipo di outing. Però ho sempre voluto fare il comico. In un certo senso anche un po’ inconsapevolmente. Mi ha sempre divertito tantissimo il fatto di dire una cosa e vedere come le persone reagissero. Da ragazzino vedevo i programmi in televisione e imitavo i personaggi  fatti dai comici. Anche se capivo poco e niente. La satira politica all’epoca aveva poco significato per me. Al liceo poi ero quello che faceva ridere tutti. 

 
Ti è mai successo qualcosa di molto divertente durante i live? Per esempio trovare qualche battutista fenomenale tra il pubblico? 
Quello succede sempre. Se entri in sintonia con lui è la cosa più bella che possa esistere perché ti diverti. Se non entri in sintonia invece è una cosa terribile. Per esempio per lo sketch di Lollo e Andrea, su i due ragazzi che vanno a Londra e parlano male l’inglese, mi è successo di farlo ad uno spettacolo al Piper di Roma e la maggior parte del pubblico lo conosceva e anticipava le battute. Questo è un po’ il limite di mettere gli spettacoli su internet perché poi la gente li conosce già. Se posso preferisco mantenere separata la dimensione del live e quella di internet. 
 
Parliamo di Post-Esami; come la descriveresti questa sorta di seconda stagione di Esami?
Ho fatto di tutto per far cercare di capire che non si trattava di una seconda stagione; meglio chiamarla spin-off. Nasce tutto dall’idea di continuare il lavoro fatto sulla prima che era andato molto bene. La cosa bella di Esami è che non invecchia. C’è la doppia chiave; sia quella della satira universitaria, sia quella della satira sui personaggi che è la parte che mi interessa di più adesso. Adesso l’università l’ho finita da un paio di anni. Quando scrivevo Esami ci stavo proprio in mezzo invece. Sarebbe stato noioso rimettermi a fare le stesse cose. Volevo andare avanti. Per evitare di diventare il comico ‘dell’università’, ‘dei giovani’. Con Post-Esami ho voluto concentrare l’indagine sul lato più di satira. Ora mi diverte pure fare il Pips a Quelli che il calcio perché è un modo di farlo totalmente diverso da quello che sono abituato a fare. 
 
Proprio a Quelli che il calcio ho visto un personaggio di un giornalista molto arrabbiato e serioso...
Sì Timoteo Rabbia. É un personaggio incazzato nero. É una vita che studia, non ha mai dormito. Timoteo si evolverà prossimamente. 
 
In Esami il mondo dell’università è costellato da studenti pressapochisti, ma la cosa veramente divertente è come gli insegnanti siano a loro volta pessimi maestri. 
Non mi piace minimamente giudicare. La satira politica di oggi con il comico che è truccato da politico e fa il politico, non la apprezzo. La trovo un po’ stretta. Non abbiamo bisogno di fare le battute su Salvini razzista. É una satira che corre sul posto. A me diverte fare satira sociale. Ma lascio al pubblico il compito di giudicare un personaggio; non lo faccio io per primo, non prendo una posizione. E sono attratto dai personaggi negativi. Io di Max Marzocca – (l’assistente esuberante protagonista di alcuni dei suo sketch ndr) – ne conosco tantissimi e mi fanno morire dal ridere. Non potrei mai dire che non mi piace chi fa questo stile di vita e butta magari i soldi in discoteca. Giudicare nel mio lavoro non serve a niente. Chi vede i video o assiste ai live può avere un giudizio sulla questione. Ma le prediche nella comicità non mi piacciono. 
 
La satira è un genere che in Italia rispetto ad altri paesi come America e Inghilterra, dove il comico non ha davvero altari e parla di tutto, sembra soffrire un po’ del bavaglio del politicamente corretto. Che ne pensi?
Credo che ci sia un gusto diverso e una tradizione comica diversa. La stand up comedy è un genere di derivazione anglosassone; c’è il comico che sale sul palco con il jeans e la maglietta e parla di sé. E il pubblico lo può giudicare. Questo meccanismo però fa in modo che il comico stesso possa tirare fuori delle cose che imbarazzano il pubblico. Le sue nefandezze, le sue meschinità. Se ti insultano tua madre è insomma normale. In Italia noi abbiamo avuto la commedia dell’arte – una cosa bellissima – che ha portato però a una realtà anche moderna dove il comico entra in scena e fa il personaggio magari del pignolo, del bacchettone e fa così in modo che per il pubblico tutto sia immediatamente riconoscibile.

Nella stand-up comedy tutto è molto più ambiguo. Anche noi in teoria avevamo una satira tagliente, fatta in altro modo. Però la comicità si è evoluta in altri paesi e in Italia è rimasta molto uguale a se stessa. Tutto sommato la comicità televisiva non è molto diversa da quella degli anni ’80. Ora si vede un interesse delle reti nella stand-up comedy. Comedy Central per esempio sta facendo molto bene in questo senso con due programmi di stand-up comedy. Ed è un onore stare a Quelli che il calcio e fare un pezzo scritto da me. É incoraggiante.



Mi dici una differenza tra comicità tradizionale e stand-up comedy? 
Premesso che la comicità tradizionale italiana è bellissima, mi sento come idea comica più vicino a un Verdone degli esordi piuttosto che alla stand-up comedian. Ancora non sono salito su un palco e ho detto qualche cosa di profondamente mio. Nella comicità americana c’è un punto di vista molto forte. Anche in Italia il monologhista sale sul palco. Poi però si scade nell’Ikea, nel traffico, nel pezzo sul perché le donne vanno in bagno in due. Non basta. A Roma per esempio viene organizzata una serata di stand-up comedy dove chiunque può salire sul palco e provare a far ridere. Lì vedo dei riferimenti americani e anglosassoni. Quindi anche chi scrive sta cambiando stile. Ed è bello. 
 
Prima hai detto che non vuoi fare il comico solo ‘universitario’. Come fa un comico giovane che parla anche di sottoculture giovanili a non rimanere prigioniero di questa etichetta?
Cercando di essere il più largo possibile senza l’aspirazione del generalismo. La comicità è una vocazione. A me non piace il diktat del: ‘devi piacere a tutti’. É ovvio che cominci a parlare di cose che conosci. Amo fare cose diverse, da Jim Molisano al Pips, e non rimanere solo a parlare delle cose strette, del proprio ambiente oppure rischi di pensare che il tuo mondo basti per tutti. Non bisogna parlare per forza dei simboli di Roma Nord. Ma è importante bilanciare le due cose. Anzi il sogno è far arrivare a tutti le battute su Roma. In ogni localismo c’è una grande verità. É una grande conquista quando un fiorentino viene da me e dice che il personaggio di Max lo ha fatto ridere con la sua cafonaggine, la sua esuberanza. 
 
E il cinema?
Sto scrivendo un film. Non posso dire molto. Ed è una mia ambizione e sfida. Sarà prodotto da Pietro Valsecchi e non dico altro. 
 
Quale dei tuoi personaggi ami di più? Lo so è difficile...
Quello che mi diverte di più è Max; perché allo stesso tempo mi imbarazza. Timoteo Rabbia mi piace perché è una sorta di sfigato che ha rinunciato a tutto in nome del proprio lavoro ed è arrabbiato. Ma mi affeziono a tutti. E non posso non dimenticarmi di Pips
 
Meglio Ricky Gervais o Louis C.K.?
Tutti e due. Sono i miei preferiti. La mia serie preferita di sempre è The Office UK, scritta da Gervais, un capolavoro. Non c’è mai l’ossessione della lezione moralista e ti comunica un’umanità grandissima. Si avvicina a Woody Allen. Amo anche il comico inglese Stewart Lee che fa un lavoro di metacomicità dove fa delle battute e poi si ferma e interroga il pubblico sul perché ridono. É una cosa rischiosa. Poi mi piace Aziz Ansari di Master of None. In Italia sicuramente i Guzzanti e Carlo Verdone