
Jake Gyllenhaal in Everest
Qual è stato il momento più estremo della lavorazione di Everest, quello in cui hai avuto davvero paura per la tua incolumità?
Lavorare con questi attori è la cosa più estrema che abbia mai fatto. No, scherzo! Abbiamo girato spesso al freddo e a un certo punto il mio orecchio si è congelato. Avevo deciso di girare senza mai indossare protezioni per il viso e ho trascurato la cosa fino al momento in cui è diventata un problema…
Dopo le riprese è cambiato qualcosa nella tua attitudine verso la vita e la natura?
La cosa che ho imparato, specialmente vedendo il film per la prima volta qui al Festival, è che il cinema non potrà mai davvero riprodurre la realtà. Girarlo è stato fantastico, ci siamo divertiti un mondo e sulle Dolomiti vivevamo, mangiavamo e lavoravamo insieme. Ma in mezzo a tutto lo spettacolo, il momento più commovente è quella telefonata finale tra Jason [Clarke] e Keira [Knightley]. Il grande lavoro fatto da loro è quello che più si avvicina al reale.

Gyllenhaal con Emily Watson, Josh Brolin e il regista Baltasar Kormakur.
Ultimamente hai virato verso una ricerca fisica, con ruoli come quello di Everest o quelli in Lo sciacallo – Nightcrawler, per il quale hai dovuto dimagrire tantissimo e Southpaw (qui la recensione), dove invece hai messo su un fisico da pugile. Come mai questa scelta?
Ho semplicemente deciso che volevo dedicare più tempo ed energie alla preparazione dei ruoli, per arrivare alla perfezione. La recitazione è ancora oggi un “mestiere”, e io per anni ho trascurato questo aspetto. Un paio di anni fa ho deciso che volevo imparare il più possibile sul mestiere. Da una parte c’è il corpo, dall’altra la mente: nel caso di un pugile sei costretto a lavorare sul fisico, mentre in un ruolo come quello di Nightcrawler, non essendo io imponente fisicamente, dovevo esserlo verbalmente. Ci sono tante possibili strade. Io adoro raccontare le storie e cercherò sempre di trovare la mia strada per entrare in un personaggio. E poi si imparano un sacco di cose sul mondo, incontrando persone che fanno quei lavori per vivere. Questo fa sì che il tuo punto di vista sulle cose cambi. Inoltre amo creare, a voi sembrerà che abbiamo torturato noi stessi per questo film, ma per me è un atto creativo, non distruttivo.

Gyllenhaal con Jason Clarke sul set.
Hai parlato di come in Val Senales abbiate vissuto e lavorato insieme. Parlaci ancora di questo cameratismo…
Una cosa fondamentale è stata la presenza di un leader come Jason [Clarke]. Da attore non protagonista è bello potersi mettere nelle mani di un protagonista così intelligente, ricco di talento e preparato. Ti aiuta perché sai che non dovrai lavorare troppo per riempire i vuoti, ma dovrai invece reagire a quello che fa lui.
Recitare può essere stremante per la salute mentale. Come riesci ogni volta a lasciarti quel peso alle spalle?
Credo che sia più pericoloso per la mente non avere un mezzo per esprimersi, ecco perché per i bambini è così importante dedicarsi all’arte o allo sport da subito. Questa è la mia forma di espressione. E lo so che spesso si dice che la recitazione sia pericolosa per la sanità mentale, ma è proprio per questo che esiste il “mestiere”. La preparazione è essenziale, non puoi recitare senza conoscere te stesso. Per me è molto più dannoso prendere queste cose alla leggera.
In uscita il 24 settembre, Everest è distribuito in Italia da Universal.
PER SAPERNE DI PIU', LEGGETE ANCHE:
L'intervista a Jason Clarke
L'intervista a Josh Brolin
L'intervista al regista Baltasar Kormakur
L'incontro con il cast a Venezia
Foto: dieci cose da sapere su Everest
Foto: Jake Gyllenhaal, un grande talento in dieci ruoli