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Southpaw – La recensione in anteprima

Un Jake Gyllenhaal sopra le righe in un dramma pugilistico scontato e superficiale. Un passo falso per Antoine Fuqua

Southpaw

08.08.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
L'intenzione di girare un dramma sulla boxe dal tono classico è degna di rispetto e Antoine Fuqua non si vergogna di voler regalare al suo pubblico un film di caduta e riscatto che più hollywoodiano non si può. Un bignami del sogno americano, in cui anche dopo una rovinosa disfatta, scatenata da un'imprevedibile disgrazia, un uomo può risalire la vetta e dimostrare al mondo di che pasta sia fatto: questo è Southpaw - L'ultima sfida. Purtroppo la caduta è così “totale” da risultare quasi caricaturale, e la risalita non è esaltante come ci aspettavamo. Il risultato è un film che più che classico risulta già visto.

 
Jake Gyllenhaal è Billy Hope, campione del mondo dei pesi mediomassimi che, dopo l'incontro della carriera, assiste impotente alla morte dell'amata moglie (Rachel McAdams) nel corso di una rissa con il pugile rivale Miguel Escobar (Miguel Gomez di The Strain) in cui parte un colpo di pistola. Billy perde, nell'ordine: il titolo, la faccia, un ricco contratto con HBO, i soldi, il manager, la casa e l'affidamento della figlia. Una tragedia dietro l'altra in pochi minuti di film. Troppe, davvero, perché si riesca a prenderle sul serio senza pensare almeno un po' ai Simpson e alle loro parodie del cinema di Hollywood. 
 
Dopo la caduta, inizia ovviamente la risalita: Billy trova un nuovo allenatore (Forest Whitaker) in una palestra di quartiere, si allena tentando di riprendere le redini della propria vita e riabbracciare la figlia. Impara di nuovo l'umiltà e lavora con i ragazzi dei quartieri difficili. Alla fine arriva l'occasione di sfidare il suo odiato rivale (lo stesso in parte responsabile della morte di sua moglie) e riconquistare il titolo mondiale. 

 
Sono le tappe fondamentali di questo tipo di storie, e non avrebbe senso lamentarsene. L'antico adagio dice, dopo tutto, che non importa “cosa” si racconti ma “come” lo si racconta. Qui casca l'asino: Fuqua non trova una voce personale o un'idea di regia capace di nascondere gli ingranaggi del plot e condurci con mano sicura verso il climax inevitabile del film. Tutto resta dolorosamente in superficie: il rapporto di Billy con la figlia, con i ragazzini della palestra, il suo problema con la gestione della rabbia. Ma soprattutto la rivalità con Escobar, che sarebbe fondamentale in questo tipo di storia, ma il cui pathos è totalmente assente. Southpaw, in questo senso, è un film di scelte pigre: la morte della moglie di Billy (una scena potentissima, quella sì) ha l'aria di una scusa bella e buona per motivare la faida tra i due pugili senza faticare troppo. Un espediente simile è utilizzato verso la fine del secondo atto per motivare la decisione di Whitaker di allenare Gyllenhaal, in una scena terribilmente manieristica che risucchia, di nuovo, il pathos. Segue un doppio training montage uscito direttamente dalla scuola Rocky IV, che però non ha alcun peso perché Escobar non è un personaggio, ma solo una funzione narrativa.
 
La recitazione di Gyllenhaal, sulla carta uno dei punti forti del film, è purtroppo enfatica e sopra le righe. Encomiabile la sua preparazione fisica per il ruolo, ma dopo la straordinaria performance ne Lo sciacallo era lecito aspettarsi di più. Peccato: le intenzioni buone c'erano, ma Southpaw alla fine ne esce come un'opera prevedibile e per nulla sincera, un pasticcio in cui poche buone sequenze risaltano in mezzo a una sagra dei cliché che non ci aspettavamo assolutamente da Fuqua, specialmente dopo The Equalizer.

Southpaw - L'ultima sfida sarà distribuito in Italia da 01 a partire dal 2 settembre.