
Dieci grandi film che non vorrete rivedere una seconda volta

Oldboy (2003)
Ci sono film che rivediamo almeno una volta l'anno, e altri che invece non vorremmo mai più rivedere dopo la prima volta. Film dai temi talmente controversi, o dalla messa in scena talmente forte, da spingerci a rifiutare una seconda visione.
Tra questi, il nostro primo titolo, Oldboy, è persino uno dei più leggeri. Il film di Park Chan-wook, capitolo centrale della sua trilogia sulla vendetta, è la storia di un uomo che, dopo essere stato imprigionato per quindici anni in un appartamento senza appartente motivo, viene liberato, e si mette in cerca dell'uomo che lo ha rapito. Nulla è come sembra, però, e il povero Oh Dae-su scopre presto di essere vittima di un complesso piano di vendetta. E la conclusione è così sconvolgente, da lasciare il segno nello spettatore per lungo tempo. Rivederlo, sapendo già cosa vi aspetta nel finale, potrebbe essere arduo.
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Un borghese piccolo piccolo (1977)
Quella volta che Mario Monicelli e Alberto Sordi hanno deciso di andarci giù pesanti, il cinema internazionale ha tremato. Un borghese piccolo piccolo è parte dramma/commedia neorealista, parte film di giustizieri, parte torture porn ante-litteram. Uno spaccato agghiacciante dell'Italia con uno dei colpi di scena centrali più improvvisi, struggenti e inaspettati a memoria d'uomo. Una botta di depressione senza eguali.

Il cacciatore (1978)
La storia di un gruppo di amici coinvolti loro malgrado nella guerra in Vietnam è uno dei più struggenti film degli anni '70 e il capolavoro di Michael Cimino. Cinque Oscar non basteranno per convincervi a rivederlo: la parte finale, con Mike (Robert De Niro) che torna a Saigon per cercare Nick (Christopher Walken) e scopre che è un "campione" di roulette russa, vi farà finire tutte le lacrime.

Kids (1995)
Nonostante il titolo neutro, il film di Larry Clark non è un simpatico coming-of-age su un gruppo di adolescenti americani alle prese con sesso e trasgressioni. O meglio, è tutto questo, tranne che la parola "simpatico". E' un turbine di violenza, sesso, droga, con al centro dei minorenni senza legge. Un'opera estremamente controversa all'uscita, che ancora oggi è faticosa da digerire.

Happiness (1998)
Mai titolo fu più autoironico. Il film di Todd Solondz è il ritratto di una galleria di personaggi disturbanti alla costante ricerca di un contatto umano. Un film di abbagliante disperazione: vedetelo una volta, archiviatelo.

Requiem for a Dream (2000)
Darren Aronofsky non è certo noto per i suoi film leggeri e positivi. Ma forse la sua opera più angosciante è Requiem for a Dream, uno dei più duri, soffocanti e deprimenti film sulla tossicodipendenza. Un tour de force emotivo che vi lascerà lacerati e che non vi farà certo venire voglia di sottoporvi nuovamente a tanta sofferenza.

Inland Empire - L'impero della mente (2006)
L'ultimo film diretto da David Lynch è anche quello in cui più di tutti l'autore indugia nel suo stile tanto caratteristico quanto ostico. Tre ore che faranno sembrare Twin Peaks, Strade perdute, Mulholland Drive e Fuoco cammina con me delle passeggiate di salute in un mondo allegro e assolato.

Martyrs (2008)
In tema "torture porn", il genere horror dedicato alle torture, non c'è esperienza tanto viscerale quale quella di Martyrs. Si tratta di un capolavoro della filmografia horror francese, eppure questo non basta a spingere a una seconda visione. La sua violenza è troppo estrema, la discesa delle protagoniste in un inferno sulla terra è qualcosa che vi lascerà devastati. Auguri a riprovarci.

Antichrist (2009)
Lars von Trier è un regista noto per la sua cronica depressione, un argomento che non ha mai timore di spiattellare sul grande schermo nei suoi film. Ma l'horror Antichrist è probabilmente la sua opera più intollerabile da ogni punto di vista: visivamente, si accanisce su dettagli che vi costringeranno a distogliere lo sguardo. Narrativamente è una cosa talmente opprimente da richiedere un umore ottimo per essere visto anche solo una volta.

Il sacrificio del cervo sacro (2017)
Una tortura psicologica di due ore per raccontare la dissoluzione della famiglia. Qui vista come un nido di serpi anziché il rifugio a cui tornare in momenti difficili. Yorgos Lanthimos sfida le nostre certezze e, al termine de Il sacrificio del cervo sacro, ci lascia scossi e anche un po' irritati. Un'esperienza che non vorrete ripetere.