Festival Roma 2014
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Tusk – La recensione da Roma

Il nuovo horror di Kevin Smith in anteprima al Festival: uno dei migliori capitoli della sua carriera

Tusk - Michael Parks

21.10.2014 - Autore: Marco Triolo
La carriera di Kevin Smith dopo Clerks non è mai decollata. Non stiamo parlando dell’aspetto puramente economico – siamo sicuri che Smith se l’è sempre passata abbastanza bene – ma di quello artistico. Clerks fu un debutto coi fiocchi e da allora il regista ha sempre tentato di inseguire quella perfetta formula chimica che l’ha portato all’attenzione del grande pubblico, senza mai riuscire a replicarla. Il suo humour a volte è troppo infantile, i suoi film hanno ottime idee mal sviluppate, le sue aspirazioni da filmmaker controverso vengono spesso e volentieri soffocate dal suo mai dichiarato perbenismo di fondo.

 
Fa dunque piacere scoprire che Tusk, il suo secondo tentativo di realizzare un horror dopo Red State, è uno degli episodi migliori della sua carriera. Sospeso tra orrore e commedia – anche se questo secondo aspetto è preponderante – Tusk racconta una storia folle: quella di un vecchio lupo di mare che rapisce una star dei podcast (riferimento ben poco velato all’analogo secondo lavoro di Smith) per trasformarla in un tricheco attraverso dolorose operazioni. Un po’ Isola del Dottor Moreau e un po’ Psycho, con tanto di amici della vittima impegnati nelle sue ricerche, il film riesce a navigare con la dovuta sapienza tra toni estremamente diversi. Da una parte l’angoscia delle scene ambientate nella dimora del folle Howard Howe (Michael Parks, ormai un habitué di Smith), dall’altra l’umorismo incredibilmente centrato (per Smith) delle parti che riguardano le indagini del migliore amico (Haley Joel Osment, l’ex bambino di The Sixth Sense) e della ragazza del rapito (Genesis Rodriguez).
 
Al centro c’è Justin Long nel ruolo di Wallace (nomen omen, perché ha una forte assonanza con “Walrus”, tricheco), deejay che ha più di un punto in comune con Smith: è scorretto, polemico, volgare e infantile. Eppure non ricade nel troppo facile cliché delle vittime degli horror, spesso talmente antipatiche da far scattare un’imprevista identificazione nei carnefici. Al contrario, Smith lo dipinge come un essere umano, pieno di difetti, certo, ma pur sempre un essere umano.

 
Ma il piatto forte del film è un ruolo non accreditato di Johnny Depp che è ben più di un cameo. Depp interpreta Guy Lapointe, una specie di Clouseau canadese che da anni insegue il caso di Howe. Lo rivedremo al centro di Yoga Hosers, prossimo capitolo di una ideale trilogia di Smith basata sulle leggende canadesi. Ma per adesso ci accontentiamo di vederlo sollevare Tusk sulle spalle e sostenerlo fino al bislacco finale.
 
Tusk, presentato al Festival di Roma nella sezione Mondo Genere, non ha ancora una distribuzione italiana.