Ricchi bastardi. Questi sono i protagonisti del nuovo film di Michael Haneke che a differenza di Amour torna dall'altra parte della barricata, a esplorare il lato umano dei mostri e non il lato mostruoso degli umani.
Eppure il suo Happy End sembra quasi uno spin-off di Amour, un aspetto garantito dalla presenza di Jean Louis Trintignant che torna sullo schermo nei panni di un vecchio milionario, pater familias avvelenato dal suo stesso veleno che paga il prezzo delle azioni che ha compiuto. Molte delle quali condivide con il personaggio che l'attore aveva interpretato nel film precedente.
Torniamo però indietro. Come sempre, andare a vedere un film di Haneke garantisce quella sensazione che si prova quando si marcia verso il macello. Un percorso che si snoda dall'ingresso del cinema alla poltrona della sala, dove piano piano si lascia ogni speranza e ci si prepara ad accogliere una forte dose di disperazione e la susseguente overdose di cinismo. L'ultima volta ci aveva parlato dell'amore, questa volta mette in scena il lieto fine, un concetto quasi paradossale nel cinema del maestro austriaco.
Un "lieto fine" che il regista riserva ai milionari d'Europa, protagonisti di questo suo nuovo film mai memorabile nonostante le premesse. Perché Happy End sembra un "Haneke minore" che esplora temi già conosciuti all'interno della filmografia del regista e del cinema in generale, e che racconta di personaggi non particolarmente interessanti nonostante il loro animo disgustoso.
Un "lieto fine" che il regista riserva ai milionari d'Europa, protagonisti di questo suo nuovo film mai memorabile nonostante le premesse. Perché Happy End sembra un "Haneke minore" che esplora temi già conosciuti all'interno della filmografia del regista e del cinema in generale, e che racconta di personaggi non particolarmente interessanti nonostante il loro animo disgustoso.
Lo schermo si illumina ed è strettissimo: vediamo l'immagine attraverso il monitor di uno smartphone che spia le persone. Haneke entra nel linguaggio tecnologico moderno, usato e abusato dalla nostra società: lo spettatore diventa una spia che segue la storia attraverso i telefoni intelligenti, i social media, le chat (erotiche e morbose) e una serie di e-mail in cui i protagonisti rivelano i loro segreti.
Seguiamo una famiglia borghese guidata dal vecchio in sedia a rotelle, ormai prigioniero del suo corpo (Trintignant). La figlia Isabelle Huppert è una magnate dell'edilizia, una donna spietata che lavora insieme al figlio un po' fuori di testa e in rotta con la sua famiglia. L'altro figlio del personaggio di Trintignant è Matthieu Kassovitz, dottore con un matrimonio alle spalle, una nuova compagna e un bambino appena arrivato. Un uomo specializzato nel ferire coloro che lo amano. Entriamo in questo mondo altisonante attraverso la figlia di Kassovitz, una ragazzina di tredici avuta dal suo primo matrimonio. Su di lei vengono scaricate tutte le negatività della famiglia. Ma si tratta del personaggio più forte in scena: l'unico capace di scrutare la vera natura dei protagonisti di cui piano piano scopriremo i demoni.
I momenti più forti di Happy End arrivano insieme a uno humour cattivo, uno sguardo punitivo sui protagonisti. Un tipo di ironia che viene fuori soltanto a tratti. Per la maggior parte della sua durata questo incontro tra Haneke e i padroni della società del ventunesimo secolo si rivela come uno "speed date": qualcosa che sulla carta sarebbe diventato un nuovo capolavoro del regista, ma che alla fine non lascia il segno.
Seguiamo una famiglia borghese guidata dal vecchio in sedia a rotelle, ormai prigioniero del suo corpo (Trintignant). La figlia Isabelle Huppert è una magnate dell'edilizia, una donna spietata che lavora insieme al figlio un po' fuori di testa e in rotta con la sua famiglia. L'altro figlio del personaggio di Trintignant è Matthieu Kassovitz, dottore con un matrimonio alle spalle, una nuova compagna e un bambino appena arrivato. Un uomo specializzato nel ferire coloro che lo amano. Entriamo in questo mondo altisonante attraverso la figlia di Kassovitz, una ragazzina di tredici avuta dal suo primo matrimonio. Su di lei vengono scaricate tutte le negatività della famiglia. Ma si tratta del personaggio più forte in scena: l'unico capace di scrutare la vera natura dei protagonisti di cui piano piano scopriremo i demoni.
I momenti più forti di Happy End arrivano insieme a uno humour cattivo, uno sguardo punitivo sui protagonisti. Un tipo di ironia che viene fuori soltanto a tratti. Per la maggior parte della sua durata questo incontro tra Haneke e i padroni della società del ventunesimo secolo si rivela come uno "speed date": qualcosa che sulla carta sarebbe diventato un nuovo capolavoro del regista, ma che alla fine non lascia il segno.