Festiva di Cannes 2015
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La tete haute - La recensione da Cannes

Delude il film di apertura del Festival: un cast straordinario guidato dall'icona Catherine Deneuve, unico baluardo contro a uno script mediocre

14.05.2015 - Autore: Pierpaolo Festa, da Cannes
Il Festival sulla Croisette apre con un film francese, per una volta dopo diversi anni niente kolossal hollywoodiani (anche se Mad Max è dietro l'angolo), niente superstar anglofone, niente effetti speciali catastrofici o budget multimilionari. Basta il volto di Catherine Deneuve a concedere il lasciapassare a La tete haute, dramma firmato da Emmanuelle Bercot la cui macchina da presa cattura in maniera perfetta il più grande talento degli attori francesi: l'ossessione per il naturalismo.


La Deneuve è la punta di diamante di questo cast composto anche dal sempre efficace Benoit Magimel, Sara Forestier ottima nel farsi odiare e da un bravissimo giovane attore, Rod Paradot protagonista del film nei panni del giovanissimo disadattato presente in quasi tutte le scene del film. Perché questo La tete haute esplora le famiglie disastrate, sollevando interessanti domande sulle colpe dei genitori che ricadono sui figli, l'efficienza e l'efficacia dei sistemi sociali francesi e l'umanità (e l'imperfezione) che si nasconde dietro coloro che svolgono incarichi pubblici (la Deneuve nei panni del giudice che segue passo passo il caso del protagonista lasciandosi coinvolgere emotivamente). Per un'ora seguiamo l'iter giudiziario del sedicenne orfano di padre e figlio di una madre tossica, maledetto dal suo stesso DNA. Lo vediamo in un susseguirsi di situazioni spiacevoli mentre entra ed esce da istituti di rieducazione giovanili o tribunali per i minori.

La Bercot trascina lo spettatore, catturandolo emotivamente con un realismo quasi 'à la Dardenne' puntando tutto sullo sguardo del giovane protagonista, i cui occhi riescono a suscitare tenerezza e fare paura allo stesso tempo. Dopo sessanta minuti però la regista esercita una pressione ulteriore sul dramma, estremizzando il tutto e intrappolando lo spettatore in uno stato di costante angoscia scaturita da possibili tragedie pronte ad arrivare da ogni angolo. La Bercot - che firma anche la sceneggiatura insieme a Marcia Romano - non è però abbastanza coraggiosa da andare fino in fondo all'oscurità, preferendo piuttosto annacquare il racconto permeandolo di una insistita e forzata speranza, fuori luogo.


Improvvisamente questo interessante documento si trasforma in qualcos'altro: un polpettone che sconfina nella fiction televisiva. Usciti dalla sala ci si ricorda comunque del cast, di Magimel assistente sociale che si prende a cuore il ragazzo, della Forestier madre inadeguata e fonte di ogni male nel cuore del figlio, e di Catherine Deneuve che con i suoi settantuno anni suonati è ancora una grande icona di bravura. E di fascino.


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