
Una scena di Loin des hommes.
Come ti sei preparato al ruolo di Daru?
Ho letto i diari di Camus e le sue corrispondenze con altri scrittori sull'arte, ma anche sulla vita di tutti i giorni. Spesso discuteva di quello che stava succedendo in Francia e Algeria, e questo mi è stato di aiuto. Mentre giravamo il film, pensavo ad esso come a una storia autobiografica: Daru è quello che sarebbe diventato Camus se non si fosse trasferito in Francia per fare lo scrittore. La figura maschile più importante per lui durante la sua infanzia ad Algeri fu il suo insegnante, che lo incoraggiò a interessarsi a letteratura, filosofia e storia. Senza di lui non sarebbe diventato uno scrittore e infatti quando vinse il Nobel glielo dedicò. Ho anche visitato il suo quartiere ad Algeri e i posti che amava di più. Sul set pensavo al suo punto di vista, quel suo non volersi legare a una fazione o l'altra. Nel film, Daru dice “siamo tutti algerini”: quello era il punto di vista di Camus.
David Oelhoffen ha detto che hai chiesto tempo per prepararti alle riprese...
Non ho ritardato il film, ho usato solo il tempo che avevo. Ci è voluto tempo per raccogliere i fondi, circa due anni, e in quel periodo ho imparato e letto il più possibile e, una volta che mi è stato comunicato che i soldi c'erano, ho iniziato a prendere lezioni di arabo.
Nel film, tra Daru e Mohamed si instaura una relazione quasi fraterna, sei d'accordo?
È il genere di film che mi piace fare, quello in cui ci vuole tempo perché le relazioni si evolvano. Ci sono film in cui le cose accadono molto rapidamente, ma questo non permette sottigliezza nello sviluppo dei personaggi. Qui invece arrivi a conoscerli profondamente. Daru e Mohamed sono inizialmente chiusi e discreti, ma poi finiscono per fidarsi l'uno dell'altro e capiscono che in fondo non sono così diversi. Questo vale per ogni situazione polarizzata: non credo che sia impossibile trovare il modo di parlare, ma ci vuole tempo e impegno. Bisogna mettere da parte ego e orgoglio, e far sì che la propria razza e la famiglia da cui si proviene non siano un ostacolo, ma uno strumento per capirsi.

Il co-protagonista Reda Kateb, il regista David Oelhoffen e Viggo Mortensen a Venezia.
Sei uno degli attori americani che lavorano di più all'estero. Come mai?
Non è una cosa che cerco consciamente, succede e basta, di solito perché mi appassiono a una storia. Altri attori hanno degli agenti che dicono loro: “Tizio Caio ti vuole in questo film e ti pagherebbero trenta volte tanto”. Alcuni attori si svincolano dal contratto e lo fanno, ma io non mi sentirei a mio agio. Mi occorre tanto tempo per dire di sì a un progetto, e una volta che l'ho fatto voglio arrivare fino in fondo.
Che tipo di svolta ha rappresentato per te Il signore degli anelli?
Mi ha dato la possibilità di ottenere certi ruoli e ha permesso ad altri film di essere fatti perché c'ero io, come Il destino di un guerriero e A History of Violence. Se vieni baciato dalla fortuna, devi saperla comunque usare. Devi fare un buon lavoro e solo così ti daranno altre buone opportunità. Sarò sempre grato a Peter Jackson: se non mi avesse scelto, non sarei qui oggi.
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