Biennale Venezia 2014
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Frederick Wiseman: “Onorato del Leone d'Oro alla carriera”

La nostra intervista esclusiva al primo documentarista vincitore del premio alla carriera a Venezia

Frederick Wiseman

01.09.2014 - Autore: Marco Triolo, da Venezia
Quasi cinquant'anni di carriera spesi nel documentario: un record che pochi detengono, e Frederick Wiseman è tra questi. Grande pioniere di questa forma narrativa, Wiseman ha sempre definito i suoi documentari “film”, e per tutta la vita ha difeso la sua mancanza di obbiettività e il diritto di un regista di elaborare il materiale ripreso per creare una vera struttura narrativa. Quest'anno è anche diventato il primo regista di documentari a vincere il Leone d'Oro alla carriera a Venezia. Lo abbiamo incontrato.
 
Crazy Horse, Boxing Gym, The Garden... Spesso sceglie ambienti chiusi come soggetti per i suoi documentari. Da dove nasce questa fascinazione?
Mi da un 'impalcatura su cui lavorare: tutto quello che succede all'interno di questa istituzione o territorio geografico limitato può essere incluso nel film, tutto quello che accade all'esterno non mi interessa.

Come si prepara per le riprese di un documentario?
Non mi preparo, in realtà. Di solito mi reco sul posto un giorno prima, per me è girare la vera ricerca.

Lei è uno dei pochi documentaristi che ammette il pregiudizio intrinseco nei suoi film. È una cosa affascinante, perché spesso i documentari vengono criticati quando non sono obbiettivi, eppure è ovvio che non lo siano...
Ognuno ha un punto di vista, non puoi fare un film senza di esso perché quando giri devi fare delle scelte, e le scelte rappresentano il tuo atteggiamento verso il materiale. Io tento di essere onesto con i partecipanti: in un documentario è facile prendere in giro tutti, ma non è giusto. Se invece succede qualcosa di divertente durante le riprese non esito a usarlo.

Lei ha anche più volte detto che tutti i suoi film hanno una struttura drammatica come quelli di finzione...
Devono averla per forza, altrimenti non sarebbero interessanti. Non sarebbe un film senza una struttura drammatica, ma solo un documento, che avrebbe senso guardare solamente per fare della ricerca. Sono la struttura del film e la storia raccontata a cogliere l'interesse dello spettatore.

Ha avuto una lunga carriera nel documentario eppure ha fatto un solo film di finzione. Perché?
Perché è troppo complicato trovare i fondi per un film di finzione. È già dura trovare i soldi per i miei documentari e non mi piace l'idea di aspettare per tre quattro anni senza far niente. Mi piace lavorare molto e mi piace fare documentari, per questo li faccio.



Negli ultimi anni c'è stato un forte ritorno del documentario come forma espressiva e cinematografica. Pensa che abbia in qualche modo a che fare con la crisi che stiamo vivendo e che necessita di essere documentata?
Non saprei il motivo di questo ritorno. Certamente è più facile trovare l'equipaggiamento per realizzare un documentario, costa meno. Questo però non ti rende un regista, non basta puntare la macchina da presa e girare.

Lei da sempre evita di usare la narrazione fuori campo nei documentari, ed è stato un pioniere in questo. Ora è lo stile che utilizzano quasi tutti, ad esempio The Look of Silence di Joshua Oppenheimer, visto qui a Venezia, è girato così. Perché evita il voice over?
Credo che funzioni meglio, perché riduce la distanza tra lo spettatore e il film. Nel caso di un'intervista con il voice over sei conscio che si tratta di un'intervista e che qualcuno ti sta dicendo cosa devi pensare. Io preferisco mettere lo spettatore nel mezzo e lasciare che si faccia un'idea da solo.

Oltre al cinema, lei ha lavorato molto anche a teatro. Come paragonerebbe le due esperienze?
Il teatro è molto diverso, ma quello che faccio nei documentari mi ha aiutato molto, perché ho potuto vedere una grande varietà di comportamenti umani, che mi forniscono un sacco di spunti quando devo suggerire agli attori cosa fare.

Qual è stata la sua prima reazione quando le hanno comunicato che aveva vinto il Leone d'Oro alla carriera?
Ne sono elettrizzato. È un grande riconoscimento per me e per il lavoro che faccio. E il fatto che sia la prima volta che viene dato a un documentarista, e che quel regista sia io, lo rende un vero onore.

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